Centri commerciali, la situazione in Friuli: la mappa di chi resta aperto e di chi è costretto a chiudere

UDINE. Lo temeva e, un po’ se lo aspettava. La chiusura nei weekend (si parte da sabato 6 novembre) dei centri commerciali non ha colto di sorpresa Antonio Maria Bardelli, il patron del Città Fiera, una delle realtà più grandi d’Italia, che si trova alle porte di Udine, tra lo stadio dei Rizzi, la tangenziale e il parco del Cormor. Nelle domeniche di novembre e pre natalizie del 2019 al Fiera sono entrate, di media, tra le 20 e le 25 mila persone nell’arco dell’intera giornata, con punte di 7 mila. Non serve uno scienziato per capire che, venendo a mancare un così alto numero di potenziali clienti, l’andamento degli affari ne risente anche durante la settimana.
«Nel centro commerciale vi sono 250 negozi attivi che danno lavoro a 1.700 dipendenti e collaboratori - dice l’imprenditore friulano - e con l’indotto sono molti di più. Ecco io lavoro per cercare di difenderli. Abbiamo già riscontrato un calo di affluenza durante dal lunedì al venerdì, perchè la gente un po’ ha paura, un po’ cerca di non muoversi, un po’ è ligia alle raccomandazioni delle autorità. Qui c’è paura per il virus, ma c’è anche paura per il futuro».
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Bardelli, in queste ore concitate, sta cercando di capire, nelle pieghe dell’ultimo Dpcm, quali esercizi, all’interno del centro commerciale, potranno restare aperti anche oggi e domani: se solo quelli che garantiscono servizi essenziali, come supermercato, edicola, tabacchi e farmacie o anche altri. «Qualche giorno fa auspicavo provvedimenti non discriminatori - aggiunge il patron del Fiera - ma evidentemente non sono stato ascoltato. Però è bene sottolineare che nessun Paese europeo, dico nessuno, ha adottato misure che discriminano nella stessa categoria economica, nè tra le categorie, come accade qui in Italia. A chi resta aperto io auguro le migliori fortune, ma noi non ci arrenderemo a questa evidenza. Dentro il centro commerciale gli assembramenti non si sono mai verificati, basti pensare che abbiamo 130 mila metri quadrati di superficie commerciale, con un picco di 7 mila persone all’interno, faccia un po’ i conti di quante ce ne sono in un metro quadrato. E poi abbiamo i gel igienizzanti, la pulizia è costante, la qualità dell’aria è perfetta, i filtri vengono cambiati spesso. Abbiamo perfino fatto i tamponi, alla ricerca del Covid, sulle superfici interne, tutti i test sono risultati negativi. Il nostro centro è un posto sicuro, ma non è bastato per evitargli la chiusura del week end. Speriamo comunque che il Friuli Venezia Giulia da regione gialla possa passare a verde in breve tempo: più lunghe sono le limitazioni, più danni fanno all’economia».

Nella stessa situazione del Fiera, tra Udine Gorizia e Pordenone, si trovano anche diverse altre realtà come i centri commerciali Gran Fiume e Meduna, Tiare, Terminal Nord, Pradamano shopping center, Friuli, solo per restare ai maggiori.
Intanto Confesercenti nazionale valuta la strada di un possibile ricorso contro l’ultimo Dpcm. «Sono disposizioni al di fuori di ogni logica, che vanno corrette al più presto. In caso contrario, ci troveremo costretti a ricorrere al Tar: così com’è, il provvedimento assesterà un colpo insostenibile a queste imprese, che realizzano oltre il 50% del proprio fatturato proprio nelle giornate di sabato e di domenica. Lanciamo un appello anche ai governatori delle Regioni, perché intervengano nei confronti del governo e con provvedimenti diretti per evitare questa grave ingiustizia. Troviamo incomprensibile la scelta di chiudere nel weekend mercati e i negozi nei centri commerciali anche nelle zone gialle: i primi si svolgono principalmente all’aperto, mentre i secondi sono in un ambiente controllato dove è più facile far rispettare i protocolli di sicurezza ed evitare affollamenti. In questo modo si faranno saltare migliaia di attività e centinaia di migliaia di posti di lavoro».
«Un provvedimento punitivo - continua l'associazione - , anche perché queste attività sono di fatto le uniche a subire limitazioni: lo stop alle medie e grandi strutture di vendita, pure previsto nelle versioni preliminari del testo, è infatti improvvisamente sparito. Se il problema è il rischio di assembramento, qualcuno ci deve spiegare perché altre attività di distribuzione commerciale al di fuori dei centri commerciali, anche quelle di grandissime dimensioni che registrano migliaia di clienti ogni giorno, sono considerate sicure, mentre i banchi extralimentari dei mercati all’aperto e i negozi dentro le gallerie sono, invece, ritenuti pericolosi. Si tratta di una grave distorsione della concorrenza, che non possiamo accettare».
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