Che fine fanno i dati raccolti da medici e aziende? È obbligatorio il test della temperatura? Tutte le risposte del garante

UDINE. È una questione accessoria, ma non marginale, quella della privacy nei mesi cadenzati dai timori per il dilagare del coronavirus. Neppure l’emergenza più grave che il nostro Paese si è trovato a fronteggiare negli ultimi settant’anni può in fondo consentire deroghe ai principi che stanno alla base della tutela della riservatezza dei dati personali.
A maggior ragione se l’oggetto dell’analisi è uno degli aspetti più “sacri” da difendere, anche secondo le norme, ovvero le informazioni sullo stato di salute. Che diventa centrale nel momento in cui le aziende devono ripartire, garantendo gli standard di sicurezza ai propri lavoratori: si è così cominciato a ragionare sui test sierologici a cui sottoporre prima della riapertura tout-court degli stabilimenti i dipendenti.
CORONAVIRUS, I DATI
Ai cancelli delle fabbriche sono apparsi addetti alla misurazione della temperatura corporea, una “prova” a cui capita di essere sottoposti anche all’arrivo in stazione o in aeroporto e, più raramente, all’ingresso dei supermercati. Ma qual è il perimetro oltre il quale questo genere di test non può spingersi? Nei giorni scorsi il garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro, ha tracciato una serie di linee guida sul punto.
Proprio per citare l’esempio della rilevazione della temperatura corporea, il garante chiarisce che «quando è associata all’identità dell’interessato, costituisce un trattamento di dati personali» e «non è ammessa la registrazione del dato relativo alla temperatura corporea rilevata, bensì, nel rispetto del principio di “minimizzazione” (art. 5, par.1, lett. c) del Regolamento cit.), è consentita la registrazione della sola circostanza del superamento della soglia stabilita dalla legge e comunque quando sia necessario documentare le ragioni che hanno impedito l’accesso al luogo di lavoro».

La situazione di emergenza che abbiamo vissuto nelle scorse settimane e il rischio che questa sia replicata nel prossimo futuro, impone una riflessione sulla responsabilità degli stessi lavoratori, ai quali viene chiesto con maggior puntualità di segnalare eventuali situazione di pericolo connesse alla salute sui luoghi di lavoro. Scendendo nel particolare, il lavoratore è tenuto a segnalare di aver avuto contatti con persone positive al Covid-19 o essere stato in aree considerate a rischio.
LA NUOVA ORDINANZA IN FVG
«In ogni caso – specifica il garante – dovranno essere raccolti solo i dati necessari, adeguati e pertinenti rispetto alla prevenzione del contagio da Covid-19, e astenersi dal richiedere informazioni aggiuntive in merito alla persona risultata positiva, alle specifiche località visitate o altri dettagli relativi alla sfera privata».
Sullo sfondo, una delle questioni che hanno agitato il dibattito politico (e non soltanto) di queste settimane, ovvero la discrezione dell’app di contact tracing Immuni che, secondo i critici, non tutelerebbe il diritto alla privacy degli utilizzatori.
Chi può chiedere le informazioni sui sintomi. Il garante chiarisce che «tutti i professionisti sanitari possono raccogliere le informazioni che ritengono necessarie nell’ambito delle attività di cura dei loro pazienti, comprese quelle legate alla presenza di sintomi da Covid-19». Anche i dentisti, come specificato nella faq dell'autorità di garanzia.
Ma un operatore sanitario, durante l’esecuzione di un tampone può chiedere al paziente l’identità della persona positiva con cui ha avuto un contatto stretto? Per il garante sì, in quanto l’operatore, «al fine di determinare le misure di contenimento di contagio più opportune, è chiamato a ricostruire la filiera dei contati stretti del soggetto risultato positivo al Covid-19».
Test sierologici solo su base volontaria. Nella propria analisi, il garante affronta pure la questione degli screening sierologici, che possono essere promossi dai Dipartimenti di prevenzione della regione nei confronti delle categorie di soggetti considerati a maggior rischio di contagio e diffusione del Covid-19. «La partecipazione di tali soggetti ai test può avvenire solo su base volontaria – chiarisce –. I risultati possono essere utilizzati dalla struttura sanitaria che ha effettuato il test per finalità di diagnosi e cura dell’interessato e per disporre le misure di contenimento epidemiologico previste dalla normativa, nonché per finalità di sanità pubblica da parte del dipartimento».
Sì ai termometri in stazioni, aeroporti e aziende. Nessuna violazione della privacy nella misurazione della temperatura in stazioni e aeroporti. Le faq del garante specificano che «le disposizioni adottate per l’emergenza sanitaria da Covid-19, hanno previsto la possibilità di effettuare controlli della temperatura corporea a tutti i passeggeri di voli europei e internazionali in arrivo negli aeroporti italiani, al fine di individuare le eventuali misure necessarie ai fini del contenimento dell’epidemia da coronavirus». Per il test della temperatura fuori dalle aziende, è chiarito che i dati «non possono essere registrati».
I dati sensibili delle richieste di contributo. C’è poi la questione degli aiuti economici, che gli enti stanno mettendo in campo. Il garante chiarisce che l’obbligo di pubblicazione dei nominativi dei destinatari di benefici economici sussiste solo per contributi «superiori a mille euro nel corso dell’anno solare», «fermo restando il divieto di diffusione di nel caso in cui da tali dati sia possibile ricavare informazioni relative allo stato di salute alla situazione di disagio economico-sociale degli interessati». I moduli per le richieste devono raccogliere i dati indispensabili alla verifica dei presupposti «e non informazioni non necessarie o non pertinenti per ottenere il beneficio richiesto».
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