Chiude la “Metro”, a casa 48 dipendenti

PORDENONE. L’inaugurazione del “Cash and carry” Metro, al centro Ingrosso di Pordenone, c’è chi la ricorda ancora in città. File interminabili di auto dalle prime ore della mattina – era dicembre 2004 – ressa davanti ai cancelli per accaparrarsi i prodotti lancio.
Un’immagine di dieci anni, quando il commercio del Friuli occidentale era fiorente. Quella fotografia oggi è quanto mai sbiadita. E così ieri mattina il direttore vendite Italia, il capo delle risorse umane, il referente regionale e il capo area, hanno comunicato ai 48 dipendenti che dal 2 aprile il magazzino di Pordenone chiuderà.
Da alcuni mesi aleggiava la preoccupazione che anche il futuro del negozio all’ingrosso di Pordenone fosse nebuloso, ma non al punto di arrivare a una chiusura in tempi così rapidi. Dopo aver incontrato i dipendenti, l’azienda ha contattato i sindacati per chiedere un incontro urgente. La presenza del sindacato nella struttura non era così radicata e questo forse non ha permesso di attutire il colpo.
«Segnali di preoccupazione ce n’erano – dice Daniela Duz, segretaria della Filcams Cgil – e più volte abbiamo cercato di mettere in guardia i lavoratori. Oggi siamo stati contattati dall’azienda per la convocazione di un incontro urgente, da tenersi probabilmente la prossima settimana, in modo che si possano individuare tutte le misure utili a evitare che i lavoratori finiscano sulla strada da un giorno all’altro».
La corsa agli ammortizzatori sociali «sarà una vera e propria corsa contro il tempo – prosegue Duz – perché aprile è vicino e perché la normativa nel frattempo è cambiata». Bisognerà infatti capire quali strumenti previsti dalla nuova riforma nazionale sul lavoro potranno fare al caso dei lavoratori della Metro.
Se il commercio è uno dei settori in cui la precarietà è più radicata, i lavoratori della multinazionale di origine tedesca, hanno contratti solidi (43 sono a tempo pieno e con contratti che prevedono anche integrativo). «L’obiettivo dovrà essere quello di cercare di ricollocare il maggior numero di persone possibile – insiste la segretaria della Filcams –, nella consapevolezza di quello che è il momento». Lavorando prevalentemente per un’utenza di grossisti e professionisti, il magazzino era chiaramente un “termometro” dell’andamento del commercio al dettaglio e più in generale delle partite Iva.
E la febbre a questo punto è molto alta. Un segnale preoccupante, secondo il sindacato, era già arrivato «quando il gruppo ha previsto una riorganizzazione dei megazzini e nell’elenco – ricorda Duz – Pordenone non figurava. Quello è stato un primo campanello d’allarme». Il resto è storia.
Una storia molto diversa da quella che la provincia viveva dieci anni fa, quando l’espansione della grande distribuzione era appena iniziata e il crollo dei consumi era uno spettro lontanissimo dalle coscienze di imprenditori e cittadini.
Una storia che si è consumata in un decennio lasciando cicatrici importanti sulla pelle delle aziende e dei lavoratori, sulla pelle di una provincia che non conosceva la disoccupazione..
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