Chiude l’armeria Pannilunghi, una delle più antiche d’Italia

UDINE. L’ultimo colpo non odorerà di polvere da sparo. Il frastuono prodotto dalla serranda che si abbasserà per l’ultima volta su piazza Garibaldi avrà piuttosto il sapore della malinconia tipica dei momenti in cui si rievocano i tempi andati.
La saracinesca è quella dell’armeria Pannilunghi, una delle più antiche d’Italia, che lunedì sera chiuderà i battenti dopo 147 anni di onorata attività. Udine perde in un colpo solo l’ultima rivendita di armi rimasta e uno dei negozi più iconici del centro, per un secolo e mezzo punto di riferimento per cacciatori, tiratori sportivi e appassionati. Ha resistito per 41 anni Massimiliano Zanella, ultimo erede (seppur non di sangue) di una tradizione innescata nel 1871 dall’aretino Gesualdo Pannilunghi, che per primo aprì la rivendita di esplosivi.
Ora, a 85 anni, è giunto il tempo del meritato riposo: «I miei figli fanno altro, non hanno mai manifestato l’intenzione di proseguire nel mio solco: il più grande dei due va a caccia, ma ha un lavoro solido e non pensa a rilevare l’armeria. Poi c’è la crisi del settore con cui fare i conti e alle viste c’è pure l’introduzione dell’obbligo della fattura elettronica: capirà che per me, abituato ancora alla carta e alla matita, è una novità non di poco conto. Quindi si chiude».
147 anni di storia
A Gesualdo Pannilunghi è intitolata anche una strada, la vecchia via del Miul. Fu lui, negli anni Settanta dell’Ottocento ad aprire la storica armeria: classe 1847, l’aretino Gesualdo arrivò in Friuli giovanissimo, per stabilirsi a Povoletto. Qui dà vita a un’azienda che si specializza nella produzione di esplosivi e di polvere nera per i fucili ad avancarica. È il preludio all’apertura dell’armeria di plazze dei Grans (oggi piazza XX Settembre), dove la bottega resterà fino al 1956, anno del trasferimento in piazza Garibaldi.
L’ultimo baluardo
All’epoca in città c’erano dieci armerie. Zanella, che ha rilevato dalla famiglia d’Agostino il negozio nel 1977, le elenca senza sforzarsi troppo: «C’erano De Puppi in via Mercatovecchio, Mini in via dei Pecile, Carasport in viale Volontari, De Franceschi in via Castellana, Maddalena in viale Duodo...».
Poi s’arresta, come se stesse mirando a una delle quaglie che per anni ha cacciato: «Oggi sono sparite le armerie: ci sono negozi di telefonini, di robe tecnologiche».
Cacciatori e tiratori
Zanella si rigira tra le mani la foto della sua Milli: breton tricolore di 13 anni, è la cagnolina inseparabile compagna delle battute di caccia. «Anche se in realtà siamo noi che accompagniamo i cani, non viceversa: i veri cacciatori sono loro, noi a volte li deludiamo anche», racconta il negoziante, cacciatore d’altri tempi, nipote d’arte (lo zio Marcello era tiratore di fama nazionale) e figlio di Guido Luigi, classe 1884, medaglia d’argento al valor militare e cinque encomi solenni appuntati sulla divisa.
“Gigetto” ricorre spesso negli aneddoti del figlio, oggi ottuagenario: «A otto anni, durante una battuta di caccia alla quaglia, chiesi a mio padre: “Quando sarò un grande cacciatore come te?”. E lui: “Potrai vantartene quando racconterai più spesso delle volte che avrai abbassato responsabilmente il fucile piuttosto che delle volte in cui hai sparato”. Fu una grande lezione, un modo di pensare che oggi muove pochi di quelli che praticano la caccia. Esistono cacciatori con la c maiuscola e cacciatori con la c minuscola, che sono cacciatori solo di nome».
L’ultima apertura
Massimiliano si muove con sicurezza tra gli scaffali e gli armadi ormai vuoti della bottega, tra scatole di munizioni, fucili in manutenzione (sono i suoi) e trofei di caccia, vinti nel corso di un’esistenza trascorsa con le dita tra a scorrere tra canna e grilletto. «Mi dispiace molto chiudere – confessa appoggiato al bancone –, ma non ci sono alternative: ho trasformato la ditta da spa a srl, le quote andranno ai miei figli. Abbiamo messo in vendita i locali, che avevamo acquistato negli anni Ottanta», racconta mostrando il laboratorio e i magazzini, preservati con maniacale cura.
«Ancora oggi c’è chi, anche militari, chiama per avere informazioni o acquistare le armi: ma da qualche settimana, di fatto, abbiamo smesso i rifornimenti di merce». Occhiali a pizzicare il naso, Zanella racconta di aver spesso fatto desistere dall’acquisto del fucile clienti potenzialmente poco affidabili e di aver anche invitato alla porta «giovanotti che insistevano per comprare un tirapugni. Ho rinunciato anche al denaro, mettendolo dietro all’etica».
Le armerie pagano la progressiva estinzione dei cacciatori e i tiratori sportivi si affidano ai centri specializzati. Senza dimenticare la concorrenza dei siti internet, dove basta un clic per farsi arrivare a casa un’arma. Ma no, non è la stessa cosa.
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