Cinquant’anni fa il “grande salto” di Christiaan Barnard
Era la domenica del 3 dicembre 1967. Un intervento di 9 ore Il primo a Udine, terzo in Italia, avvenne nel novembre ’85

Era la domenica mattina del 3 dicembre 1967 quando un uomo di origini polacche, di 54 anni, Luis Washkansky, si risvegliava dopo un lungo intervento chirurgico di 9 ore durante il quale il suo cuore malandato e pluri-infartuato era stato sostituito con uno nuovo e vigoroso della defunta Denise Darvall.
Si compiva il primo trapianto cardiaco al mondo, mai tentato prima e ritenuto impensabile da molti specialisti dell’epoca, il tutto per opera di un cardiochirurgo giovane e fino ad allora sconosciuto, Christiaan Neethling Barnard.
La sensazionale notizia del successo chirurgico colpì l’immaginazione di milioni di persone con un effetto mediatico straordinario. Barnard, un po’ per l’aspetto fisico da star cinematografica, un po’ per la sua abilità ad intrattenere i media, in pochissimo tempo divenne una stella internazionale, celebrato ovunque, meritando la copertina delle riviste più prestigiose, come Time e Life. Tant’è che il suo viaggio prima in Europa e, poi, in America fu un vero e proprio trionfo mediatico tra partecipazione a dibattiti televisivi, incontri nelle Università, con statisti politici (tra cui anche il presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson) e scienziati.
Purtroppo i primi interventi eseguiti nel 1968 in diversi centri internazionali rivelarono da subito i limiti delle conoscenze immunologiche e farmacologiche del tempo, la gran parte dei pazienti moriva a breve distanza dal trapianto, deludendo molte delle aspettative che il primo trapianto aveva suscitato.
Soltanto alla fine degli anni ’70 si avranno i primi risultati positivi come frutto delle ricerche portate avanti per anni da Norman Shumway, cardiochirurgo dell’Università di Stanford in California, considerato nel mondo il vero padre del trapianto cardiaco, e poi all’inizio degli anni’ 80 con l’introduzione nella terapia post trapianto della Ciclosporina, sostanza estratta da un fungo, rivelatasi farmaco particolarmente efficace nel controllo del rigetto.
Negli ultimi quarant’anni si calcola siano stati eseguiti nel mondo oltre 200.000 trapianti cardiaci, pazienti senza distinzione di sesso, razza e credo, di qualsiasi età (dal neonato all’anziano), in pericolo di vita per una patologia cardiaca terminale ritenuta incurabile, sono stati restituiti ad una vita normale, i più piccoli sono cresciuti e sviluppati fino all’età adulta, studiando, lavorando, praticando sport anche agonistico, alcune donne hanno provato la gioia della maternità dopo il trapianto.
Il trapianto ha rappresentato una terapia rivoluzionaria, universalmente applicata, di estrema efficacia come poche altre nella medicina moderna, al pari della scoperta della penicillina da parte di Alexander Fleming, per la capacità di cambiare radicalmente la storia naturale della malattia e restituire ottime prospettive di vita a chi non ne aveva alcuna.
Christiaan Barnard si ritirò dal dipartimento di chirurgia dell’Ospedale di Città del Capo nel 1983 per il peggiorare della sua artrite reumatoide alle mani, ed iniziò un’attività di ricerca e comunicazione, peraltro molto lucrosa, sulle terapie anti-invecchiamento che gli attirarono molte censure, fino all’ostracismo, da parte della comunità scientifica internazionale.
Chi ha avuto l’occasione di incontrarlo più tardi negli anni, come il sottoscritto, in una cena memorabile a Barcellona nel 1993 insieme con il mio mentore chirurgico di allora Donald Ross, cardiochirurgo di Londra e suo vecchio compagno di Università, ne poteva cogliere il fascino ancora intatto dell’uomo geniale ed empatico che tra ricordi ed aneddoti sapeva esercitare una grande energia comunicativa.
Barnard moriva per un attacco acuto di asma mentre si trovava in vacanza a Pafo (Corfù) il 2 settembre 2001.
Cosa ha lasciato in eredità il trapianto e cosa ha rappresentato nella storia della medicina, oltre all’incontrovertibile beneficio terapeutico e generalmente salvavita?
Ha costituito un fortissimo propellente per la ricerca, nuove conoscenze e nuovi farmaci nati per il trapianto hanno trovato efficace applicazione in molti altri settori della medicina, la necessità di far sopravvivere i pazienti in attesa della disponibilità di un cuore ha spinto la ricerca a perseguire tecnologie innovative fino ad avere dispositivi meccanici di assistenza al circolo, tanto affidabili al giorno d’oggi da costituire un’alternativa al trapianto stesso. Ha imposto la necessità di affrontare problemi etici come quelli del fine vita e della dichiarazione di morte secondo criteri neurologici (Criteri di Harvard 1968).
Ha cambiato la percezione dell’irreversibilità e dell’incurabilità della patologia, offrendo la possibilità di una terapia radicale e risolutiva. Ma soprattutto ha obbligato i medici a lavorare insieme, diverse professionalità e competenze hanno dovuto necessariamente integrarsi, imparando un metodo di lavoro fino ad allora sconosciuto. Ha infine spinto gli ospedali ad attrezzarsi opportunamente con modalità operative tali da efficientare le risposte ai nuovi bisogni assistenziali dei pazienti trapiantati, tant’è che il trapianto cardiaco è ritenuto a buon ragione la cartina di tornasole del buon funzionamento di una struttura sanitaria.
E Udine? È stata la terza sede in Italia ad eseguire il trapianto cardiaco, il 21 novembre 1985, per opera dei cardiochirurghi Angelo Meriggi e Cesare Puricelli e col supporto del cardiologo Giorgio Feruglio.
Da allora più di 600 trapianti cardiaci effettuati, il 10% di tutti quelli eseguiti in Italia, la gran parte dal 2000 in poi, con il 90% dei pazienti vivi ad un anno e il 70% a 10 anni. Molti pazienti hanno festeggiato il 20° anniversario, e qualcuno il 30°, dal trapianto. Alcuni sono invecchiati oltre gli 80 anni con un cuore ancora relativamente giovane.
Il Centro trapianti di cuore di Udine è dotato di un’ampia area ambulatoriale con specialisti dedicati, vanta un’organizzazione collaudata al servizio di un’utenza esigente, per lo più di provenienza extra regione. Esperienza pluriennale, professionalità e dedizione sono caratteristiche di un team multi specialistico che vede lavorare fianco a fianco il cardiochirurgo, il cardiologo, l’anestesista-rianimatore, l’infettivologo, l’internista e molti altri a seconda della necessità cliniche, il tutto inserito in un contesto assistenziale dove il ruolo di qualsiasi operatore sanitario viene responsabilizzato e valorizzato.
Al passo con l’evolversi della tecnologia e delle conoscenze, si è affiancato al trapianto cardiaco un programma di assistenza meccanica al circolo, che da semplice supporto in attesa di un cuore, si è dimostrato utile in alcuni casi come alternativa al trapianto stesso.
Il programma Trapianti di cuore a Udine ha visto promuovere progetti di ricerca sempre più ambiziosi, alcuni finanziati dal Ministero della Salute, vantando collaborazioni scientifiche con realtà prestigiose, come Sydney, Londra, Hannover e Boston. Le ricadute in termini di applicazione clinica vanno dalla telemedicina con dispositivi portatili, al progetto trapianto e Sport, alla preservazione “ex-vivo” dell’organo da trapiantare (primi in Italia e secondi al mondo per casistica), solo per fare alcuni esempi.
In sintesi, quel gesto chirurgico di Barnard di 50 anni fa, ritenuto allora tanto temerario da indurre qualcuno a pensarlo frutto di spregiudicatezza ed incoscienza più che di genialità e coraggio, potremmo definirlo con l’espressione simile a quella di Neil Armstrong, il primo astronauta a posare un piede sulla superfice lunare quasi due anni dopo (20/07/1969), “Un piccolo passo dell’uomo, ma un grande salto dell’umanità”, in questo caso un grande salto della scienza.
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