Cittadinanza, 500 pratiche giacenti a Pordenone
PORDENONE. «Il prefetto si è impegnato a verificare tutte le domande di cittadinanza giacenti da più di due anni e a smaltire gli arretrati entro dicembre in modo che da gennaio l’iter non superi i tempi previsti dalla legge».
Quando Beppino Nosella (segretario del Failms) e Vanni Tissino (Sel) riferiscono l’esito dell’incontro con il prefetto Pierfrancesco Galante, il centinaio di cittadini immigrati (per lo più ghanesi, ma anche nigeriani e cittadini del Bangladesh) radunatisi sotto l’ufficio territoriale del governo, al Bronx (con loro Paola Marzinotto, di Sel, che ha lasciato il posto a un rappresentante dei migranti), hanno applaudito.
Un applauso liberatorio per uomini e donne, molti da oltre vent’anni in Italia, che sventolavano il loro “k10” ovvero il nome del modulo ricevuto dalla prefettura per indicare l’apertura del procedimento di cittadinanza, per mostrare da quando aspettano: le domande più arretrate risalgono al 2008, come ci mostra Fordjour Aghata Nti, ghanese di 44 anni che vive ad Azzano, o del 2009.
Sono 250 le pratiche che Nosella e Tissino hanno consegnato a Galante, ma l’arretrato che supera i termini di legge, ammonta a circa 500 pratiche. C’è anche chi, come Joe O., contratto a tempo indeterminato da 19 anni, tre figli, ha fatto la domanda nel 2005 e quattro anni dopo se l’è vista rifiutare.
«Ero bocia quando sono arrivato in Italia, nel ’92 – racconta – Ho presentato tutte le domande per la cittadinanza. Quattro anni dopo che aspettavo mi hanno detto che non potevano accettare la domanda perché risultava pendente un procedimento penale per guida in stato di ebbrezza. Cosa che non risultava dal certificato penale che ho fatto».
E se Joe si sente tranquillo per via del lavoro, paradossalmente se lo perdesse e dovesse rimpatriare, anche i suoi figli lo seguirebbero: ma con quale cittadinanza? Il nodo dei certificati penali – come ha spiegato il prefetto alla delegazione – è quello che ha fatto rallentare tante procedure.
Nell’epoca dell’informatica, non accade che le banche dati siano comunicanti: personale della questura deve recarsi direttamente in tribunale, fare l’accesso agli atti e acquisire il materiale in formato cartaceo. Paradossalmente, quindi, questo passaggio si è dilatato rispetto a quando l’immigrato di recava in tribunale per richiedere personalmente quello stesso atto.
Nosella ha quindi ricordato che «non è necessario recarsi dagli avvocati per presentare la pratica di cittadinanza, anzi. Non ci sono vantaggi di tempo. Noi stiamo spingendo sulle autocertificazioni. È possibile anche rivolgersi alle associazioni per chiedere aiuto. Naturalmente quando ci sono situazioni complesse il ricorso a un legale è l’unica via».
La cittadinanza per molti stranieri è una garanzia di futuro: non necessariamente in Italia. Diversi espatriano dopo averla ottenuta: da cittadini italiani e quindi europei hanno maggiori vantaggi nei Paesi anglosassoni.
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