A Cividale si rinnova il rito della Messa dello Spadone, l’arcivescovo Lamba: «Ripartiamo come i magi»

La plurisecolare tradizione non si interrompe mai dal 1366: il possente stocco è appertenuto al patriarca Marquardo von Randeck

Lucia Aviani

La plurisecolare tradizione della messa dello Spadone, mai interrottasi dal 1366, si è ripetuta nella mattinata di oggi, 6 gennaio, per la 659^ volta, rinnovando nell'Epifania cividalese la solennità di un rituale che rappresenta un unicum nel mondo cattolico e che continua ad affascinare per l'imponenza dell'apparato e del protocollo: il possente stocco appartenuto al patriarca Marquardo von Randeck, brandito dal diacono e sollevato in più momenti della celebrazione verso officianti e fedeli, lo sgargiante elmo piumato indossato sempre dal diacono, il ricco evangeliario con copertina in lamina d'argento sono pagine di storia che perpetuano la suggestione di una liturgia da cui emerge l'antica commistione fra potere spirituale e temporale, tra dimensione della fede e dinamiche politiche.

La messa

Spesso, così, la messa accompagnata dal saluto con la spada patriarcale si è contraddistinta per i contenuti delle omelie, agganciatisi a dinamiche e problematiche sociali, locali, in primis, ma non solo; non quest'anno: le intense parole dell'arcivescovo di Udine, monsignor Riccardo Lamba - cui il parroco di Cividale, monsignor Livio Carlino, aveva chiesto la disponibilità a presiedere la funzione religiosa della solennità del 6 gennaio -, si sono focalizzate sul profondo significato della ricorrenza dell'Epifania, «che ci accompagna - ha esordito il vescovo - verso la conclusione del tempo del santo Natale».

«E' la manifestazione - ha proseguito - di Dio, nei panni di un bambino, a figure che provengono dall'Oriente, che non appartengono al popolo dell'alleanza ma portano con sé una sapienza millenaria. Al di là degli arricchimenti poi apportati dalle consuetudini popolari, questa festa ci riconduce al cuore della nostra fede, ricordandoci che Dio non ha voluto restare una realtà astratta, non rimanere un'idea: si è fatto uomo, si è incarnato per amore nostro, per la nostra salvezza, per donarci la sua stessa vita immortale.

Il Signore in cui noi crediamo ha voluto manifestare la propria volontà di essere il salvatore di tutti i popoli, nessuno escluso, senza mai imporsi, esercitando la sua onnipotenza attraverso parole, gesti, silenzi, sguardi di amore gratuito in quella terra santa oggi crocifissa. A tutti coloro che con cuore retto lo cercano, Dio assicura gioia profonda, la certezza di essere amati senza se e senza ma, senza "a patto che".

Da quella stalla di Betlemme, dal fiume Giordano, dove Gesù è stato battezzato, dai villaggi della Galilea, dal cenacolo, dal Calvario molti, dopo aver incontrato Cristo, averlo ascoltato, seguito, poi umiliato e crocifisso, sono ripartiti trasformati dal suo amore, indipendentemente da cultura, etnia e religione. Anche noi, venuti qui, oggi, per motivi diversi - di fede, di consuetudine, di curiosità - abbiamo un'occasione straordinaria per ripartire come i magi, trasformati dall'amore di Gesù, dopo esserci nutriti della sua parola; abbiamo l'opportunità - ha concluso l'arcivescovo - di essere nel mondo testimoni di gioia e di speranza»

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