Colori e paesaggiper una rivoluzione

di
Licio Damiani
Intrichi di foreste, specchi d’acqua, torrenti, distese campestri sembrano avvolgere, nelle prime sale al piano nobile di villa Manin, il visitatore della mostra L’età di Courbet e Monet, itinerario fascinoso attraverso il realismo e l’impressionismo che, muovendo dalla pittura di Francia, rivela diramazioni e influenze nell’Europa centro-orientale. Una miniera di tesori in gran parte sconosciuti in Italia, raccolti da una trentina di importanti musei d’Europa e degli Stati Uniti e “montati” con acuta analisi critica ed estro spettacolare dal curatore e regista Marco Goldin. La prima sezione della rassegna – Boschi campagne case – organizzata appunto per temi (le altre sezioni sono dedicate ad acque, ritratti, natura abitata) parte dalla Scuola di Barbizon, il villaggio francese a pochi chilometri da Parigi frequentato dai pittori per la varietà dei luoghi, l’intatta imponenza delle masse arboree, i movimentati effetti di luce a partire dalla seconda metà del Settecento.
Ma la scuola vera e propria, nella sua unità cronologica ed estetica, si impose attorno al 1830, rivoluzionando la concezione figurativa del paesaggio, fino ad allora condizionata dalle favolistiche costruzioni storico-mitologiche di Nicolas Poussin e di Claude Lorrain e dai vincoli neoclassici. Con l’arrivo di Théodore Rousseau, fondatore del movimento, di cui è esposto uno
Stagno nel bosco
(1850-1854) d’incantevoli toni ramati, a Barbizon venne maturata una visione romantica della natura, non più idealizzata, ma osservata realisticamente nelle sue cangianti vibrazioni. Ed ecco, di Narcisse Virgile Diaz de la Pena, il più vicino a Rousseau, l’altro
Stagno nel bosco
(1855): una tessitura fitta, selvaggia, di fogliame, scandita dai barbagli chiari dei tronchi fra i quali scintilla lo scialle rosso della donna seduta nel prato. Si impongono poi le tele di due giganti: il possente pathos del
Sentiero nella foresta di Saint Cloud
(1862) di Corot, con le figurette sotto l’immensa galleria vegetale, e l’imperioso
Ruscello nel bosco
(1862) di Courbet, che domina la scena per dimensioni e ricchezza di effetti visivi (di Courbet ci sono anche tre vigorosi ritratti, tra i quali spicca quello di
Hyppolite
, 1862-1863, malinconicamente pensoso).
Non divergono molto i paesaggi arborei del romeno Nicolae Grigorescu e del suo connazionale Ioan Andrescu, frequentatori entrambi di Barbizon: del primo va ricordato, fra l’altro, un icastico, coraggioso
Ritratto di Andrescu nella foresta di Fontainebleu
(1879- 1880). Del secondo c’è anche una
Ragazza sul prato
(1887- 1880), curiosamente similare, nella posa e nell’ambientazione, al
Ritratto della moglie
(1905) del carnico Marco Davanzo. Rigoglioso e saturo come di profumi il sottobosco di
Foresta a Fontenex
(1874) dello svizzero Ferdinand Hodler.
La nutrita sequenza dei Monet è aperta da
Strada davanti alla fattoria Saint Siméon
e da
Paesaggio costiero
, entrambi del 1864, tangenziali alle arie naturalistiche di Barbizon, anche se il secondo si ravviva di un qual calore. La pittura comincia a frangersi e a esplodere in pentagrammi cromatici al vivo nel
Campo di tulipani a Sassenheim
(1869). Tre altre tele di Monet vanno in particolare ricordate:
Mattino sulla Senna vicino a Giverny
(1897), incantata trasparenza di azzurri, forme vaghe, mobili come nubi; il
Ritratto di Bazille
(1867) che disegna con lunghe pennellate gestuali il profilo in ombra inquadrato attraverso la finestra nella luce accesa della campagna;
Camille Monet e il figlio nel giardino ad Argenteuil
(1875), un tripudio di sete e di roseti fragrante di colori.
Il
Campo di papaveri
(1896) dell’ungherese Pàl Szinyei Merse rassoda l’impressionismo di Monet nel lungo fiume serpentino di fiori corallini che si perdono all’orizzonte, mentre lo studio
Picnic in maggio
(1892) ha un’armonia a macchie compendiarie e impetuose. La dimensione onirico-fantastica del
Carro nelle dune
(1889) del tedesco Max Liebermann rammenta un po’ il capolavoro del cinema muto Il carretto fantasma di Victor Sjostrom e il carro dei saltimbanchi che accompagnano il cavaliere crociato verso l’ultimo incontro con la morte nel Settimo sigillo di Ingmar Bergman
Un rapporto sacrale con la terra esprime l’ispirato
Coltivatori di patate
(1861) di Millet, accanto al quale è collocato il contadino che campeggia
Sul prato
(1885) del ceko Vàclav Brožik. Il lirismo crepuscolare di Millet è stravolto da Van Gogh nei sofferti e grevi
Coltivatori di patate
(1884). Sarà il soggiorno a Parigi a schiarirgli gioiosamente la tavolozza, come documentano
Il ponte di Courbevoie
e
Le rive della Senna
, del 1887. Scrittura fratta e granulosa hanno i paesaggi di Alfred Sisley.
Il Ritratto di Victorine Maurent
(1862) di Edouard Manet possiede la grazia di una Madonna del Quattrocento toscano. Un’aura settecentesca permea la
Babette Singer
(1863) del polacco Rodakowsky. Dignità borghese, da Comédie humaine di Balzac, esprimono il
Ritratto d’uomo
(1865) e
Le sorelle Elena e Camilla Montejasi Cicerale
(1865-1868) di Degas. Splendido il
Ritratto di Olga Serova
(1895) di Valentin Serov, con il fondale di betulle in un bagno d’oro e la coppia di bimbi nell’erba violetta.
Impressionisticamente mossa
La Corista
(1883) di Konstantin Korovin. Di taglio alla Manet la giovane donna con ombrellino nero, figlia dell’autore, nell’olio
Al sole
(1900) di Il’ja Repin.
Gli
Alberi con la neve
(1892) dell’ungherese Làszlò Mednyànsky e
Mattina di neve e sole
(1895) di Pissarro sono tramati di preziose filigrane argentee. In
Ghiandaia nella foresta
(1892), del polacco Jòzef Chelmonskj, sulla soffice, cotonosa veduta innevata brilla come pietra dura il piumaggio grigio e turchese del volatile. La silhouette di spalle dell’uomo in nero stagliato sull’apertura di cielo azzurro tra le quinte d’alberi smeraldini par citazione del “Sublime” di Caspar David Freidrich. Infine Renoir. Il
Claude Monet mentre dipinge nel suo giardino di Argenteuil
(1873) è uno squisito poemetto lirico, in cui domina la piena fioritura di fondo. La
Donna con parasole e un bambino
(1874-1876), con quella stesura di colori fruscianti e vaporosi, è stata scelta quale logo della mostra. Si esce dalla villa con un felice turbinìo d’immagini.
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto
Leggi anche
Video