Come il virus è tornato a colpire il Fvg: diminuisce l'età di chi si ammala ma è più facile rintracciare i focolai

UDINE. «Tracciando gli spostamenti delle persone positive al Sars-Cov2 e sottoponendo al tampone tutti coloro che hanno avuto contatti con gli infetti ci consente di bloccare i focolai». L’infettivologo Carlo Tascini, direttore della clinica Malattie infettive dell’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale (Asufc), conferma che il contagio di ritorno arriva attraverso i giovani tant’è che l’età media dei pazienti «si è abbassata di circa 20-30 anni».
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Dopo il lockdown forse sarebbe stato opportuno ripensare l’attività delle discoteche per evitare di portare nello stesso luogo migliaia di persone. «Anche ai fini della tracciabilità – spiega l’infettivologo – è preferibile avere un assembramento di 500 persone piuttosto che di cinquemila». Nella fase in cui in un solo giorno i contagiati sono più che raddoppiati passando dai 14 di mercoledì ai 36 dell’altro giorno, Tascini apprezza il lavoro della Regione che sta facendo tutto il possibile per garantire la tracciabilità degli infetti.
Nella clinica Malattie infettive il reparto Covid non ha mai chiuso. «Nell’ultimo mese abbiamo ricoverato 24 persone positive» continua l’infettivologo nel sottolineare che solo quattro sono stati trasferiti in terapia intensiva e non si è verificato alcun decesso. L’importante è tracciare gli spostamenti e il monitoraggio ora è più rodato anche perché, rispetto al periodo più critico il numero dei tamponi giornalieri è di gran lunga maggiore. «Stiamo notando un aumento dei contagi e pure dei tamponi.
Rispetto a fine marzo quando a Udine facevamo 800 tamponi e la percentuale dei positivi era del 15 per cento, scesa al 5 per cento ad aprile, ora facciamo tremila tamponi e la percentuale degli infetti è pari allo 0,5 per cento. Probabilmente – fa notare Tascini – se a marzo avessimo fatto tremila tamponi la situazione sarebbe stata diversa». I contagiati sarebbe stati sicuramente più numerosi. Non è escluso, infatti, che la scorsa primavera un buon numero di contagiati asintomatici non sia stato intercettato. Persone che potrebbero aver contribuito a far veicolare il virus.
Il confronto con la situazione pregressa conferma la validità del tracciamento sanitario. «Facendo più tamponi riusciamo a tracciare più positivi e, quindi, a bloccare i focolai sul nascere» insiste Tascini ricordando che in passato non era possibile farlo non solo perché mancava personale, ma soprattutto perché le forniture dei reagenti non venivano consegnate. All’epoca tutto il sistema era impreparato a gestire un’emergenza di quelle dimensioni. Nella drammaticità della situazione, il Friuli Venezia Giulia si è sempre distinto anche per numero di tamponi. Tascini lo riconosce e cita il caso Remanzacco dove, grazie al tracciamento sanitario, il cluster è stato bloccato come è accaduto a Vò Euganeo.
«Durante il lockdown le persone non giravano, ora si muovono e vanno incontro a maggiori contatti con altre persone». Tascini si sofferma su questo concetto per ribadire che «c’è bisogno di fare un lavoro capillare sul territorio e la Regione si sta muovendo proprio in questo senso. Mi pare – continua – che sia stata intrapresa la strada giusta».
L’infettivologo ripete quello che va dicendo da mesi: è importante continuare a mantenere il distanziamento sociale, indossare la mascherina e lavarsi spesso le mani. Sa bene che con la riapertura delle attività, soprattutto i giovani tendono a dimenticarsene ecco perché insiste sulla tracciabilità delle persone. «Se vado in un luogo pubblico sanno che sono stato lì e se c’è un positivo posso essere controllato. Dopo tre mesi di chiusura i giovani hanno abbassato la guardia e le discoteche non sono state in grado di recuperare chi era stato da loro». Da qui l’aumento della curva del contagio e l’invito a evitare di creare assembramenti con migliaia di persone. In Friuli Venezia Giulia, però, molti casi arrivano anche dall’estero: «Da luglio, da quando abbiamo ripreso a ricoverare persone nel reparto Covid, i casi autoctoni sono pochi».
E per quanto riguarda la possibilità che il virus di ritorno risulti meno aggressivo rispetto a qualche mese fa, Tascini usa molta cautela: «Non posso affermare che la virulenza sia ridotta, posso dire però che nel tempo tutti i virus si adeguano alla specie. Quando fanno il salto di specie sono più aggressivi». Emblematico il caso della Sifilide: «Nel Cinquecento era una malattia acuta ora è cronica». Al Sars-Cov2 non possiamo concedergli di seguire la storia naturale dei virus, dobbiamo arrivare al vaccino prima possibile. «Ancora non abbiamo terapie approvate, l’Aifa ci dice che potremo usare alcuni farmaci nell’ambito di studi clinici ma la pandemia è andata più veloce della capacità di fare gli studi che devono seguire regole etiche. A Udine – conclude Tascini – è in corso lo studio sull’ozonoterapia e sulla sierologia».
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