Commessa trattiene per sè parte degli incassi, un "tesoro" da 1,2 milioni: condannata

UDINE. Un poco alla volta, incasso dopo incasso, giocando di sottrazione con i versamenti in banca cui soltanto lei era deputata. La donna, 42 anni, di Lignano Sabbiadoro, aveva approfittato della propria posizione di commessa del punto vendita “Intimissimi” di Lignano per fare man bassa di “straordinari” all’insaputa di tutti: oltre un milione di euro in quattro anni, tra il 2013 e il 2017, secondo i calcoli dei carabinieri che le avevano perquisito l’abitazione e che avevano poi condotto le indagini sotto il coordinamento del procuratore aggiunto, Claudia Danelon.
Un’appropriazione indebita con i fiocchi, quella che era stata contestata a Giovanna Zanelli, aggravata appunto dal danno di rilevante entità e dall’abuso di prestazione d’opera, e che ha finito per costarle un prezzo non meno oneroso: in sede penale, l’applicazione della pena patteggiata in un anno e due mesi di reclusione e 600 euro di multa (sospesi con la condizionale), e in sede civile, la condanna a versare alla società “Sole srl” di Udine, di cui era stata dipendente, la somma complessiva di 1.272.443 euro, meno i 12.941 euro riconosciutili a titolo retributivo per la mensilità, il tfr e l’indennità di cassa che non le erano stati pagati dopo il licenziamento.
Una quantificazione esorbitante, a dire del difensore, avvocato Lea Acampora, che nel giudizio davanti al giudice del lavoro Marta Diamante aveva parlato tra l’altro di «calcoli inverosimili» e che valuterà ora il ricorso in appello. Nelle motivazioni del patteggiamento, lo stesso gip Matteo Carlisi aveva definito «incerta» la prova dell’effettivo ammontare degli ammanchi, ricordando come «non fosse neppure stato accertato un tenore di vita corrispondente». Compatibile, cioè, con una simile disponibilità di denaro.
Era stata la titolare di quello e degli altri negozi a marchio Intimissimi e Calzedonia presenti tra Lignano e il resto della provincia ad accorgersi, per pura casualità, del “buco” e a sporgere denuncia. Assunta nell’ottobre del 2012, dall’anno successivo Zanelli era stata l’unica addetta per il proprio punto vendita adibita in via prevalente alla compilazione del registro corrispettivi e, quasi esclusivamente, al versamento in banca del contante tramite cassa continua.
Stando a quanto emerso dai successivi accertamenti, le anomalie erano cominciate a luglio. Per trattenersi parte dei ricavi, la “store manager” aveva studiato due modalità alternative: a volte aumentava artificiosamente gli incassi telematici, riducendo così il contante da versare e intascando la differenza, altre ometteva di versare gli importi registrati in prima nota.
Con ricorso depositato nel febbraio 2018, i legali della società, avvocati Paolo Toffoli e Paolo Dal Zilio, avevano quindi chiesto che l’ex dipendente fosse condannata «per inadempimento contrattuale o responsabilità extracontrattuale».
Costituitasi in giudizio, Zanelli si era difesa insistendo tra l’altro sull’utilizzo promiscuo di un’unica tessera, fino all’aprile 2015, per i versamenti degli incassi relativi sia ai negozi di Calzedonia, sia a quello di Intimissimi, ed eccepito il concorso del fatto colposo della società, considerato l’onere della datrice di lavoro e del suo commercialista del monitoraggio delle entrate e delle uscite. Per la quantificazione del danno, il giudice del lavoro aveva infine incaricato il commercialista Massimo Barbarino di apposita consulenza tecnica.
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