Il Comune revoca l’appalto perché l’ad della ditta era stato rinviato a giudizio: ricorsi rigettati
Sia il Tar sia il Consiglio di Stato hanno dato ragione all’ente municipale di Udine: l’amministratore delegato della società che si era aggiudicata i lavori per la potatura degli alberi era stato anche destinatario di due provvedimenti di sequestro preventivo per truffa e corruzione
Si era aggiudicata l’appalto triennale 2023-2025 per il servizio di potatura degli alberi del comune di Udine. Ma la soddisfazione per aver vinto la gara pubblica è durata poco.
Nel corso degli accertamenti effettuati dagli uffici di palazzo D’Aronco, infatti, era emerso come la ditta in questione avesse omesso informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di gara e, in particolare, il fatto che l’amministratore delegato dell’azienda fosse stato rinviato a giudizio per concorso in truffa e corruzione oltre a essere stato oggetto di due provvedimenti di sequestro preventivo.
La ditta, però, non accettando la revoca decisa dal Comune, si è rivolta al Tar per chiedere l’annullamento del provvedimento richiamando «un eccesso di potere per falsa rappresentazione della realtà e difetto di istruttoria, nonché difetto di motivazione», considerato che i fatti contestati erano più vecchi di tre anni e che l’ad si era dimesso dalla carica.
Il Tar ha però respinto il ricorso e la ditta, assistita dall’avvocato Francesco Longo, si è rivolta al Consiglio di Stato. Ma anche i giudici della sezione quinta hanno rigettato il ricorso, dando quindi ragione al Comune, rappresentato, nel procedimento, dai legali Riccarda Faggiani, Giangiacomo Martinuzzi, Claudia Micelli e Natalia Paoletti.
Il Consiglio di Stato ha confermato alcune delle motivazioni già date dal Tar, sottolineando, ad esempio, per quanto concerne la “prescrizione” dei termini del rinvio a giudizio, che «l’esclusione può essere correlata alla pendenza di un procedimento penale idoneo a evolvere in illecito professionale alla stregua di una valutazione discrezionale condotta dalla stazione appaltante, che deve essere posta nelle condizioni di compierla grazie a una dichiarazione completa».
Per l’organo amministrativo, proprio l’omessa dichiarazione della ditta ha contribuito a «comprometterne l’affidabilità e l’integrità».
Il Consiglio di Stato ha quindi respinto il ricorso, considerando «legittimamente motivata» la decisione del Comune.
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