«Concorso vigili, la cupola non esiste»

In tribunale Zucchiatti respinge ogni accusa, Cancian e D’Angelo scelgono il silenzio. Chiesta la revoca dei domiciliari.

foto missinato - tribunale - vigili urbani
foto missinato - tribunale - vigili urbani

PORDENONE. Se il teorema dell’accusa punta a dimostrare l’esistenza di una sorta di “cupola” dei comandanti della polizia locale per “taroccare” i concorsi, «è stato bene chiarire che questa illazione non ha fondamento».

Le risposte, o meglio le dichiarazioni di Leonardo Zucchiatti, comandante della polizia urbana di San Daniele, avevano questo obiettivo: chiarire circostanze, motivazioni, comportamenti, e fornire al gip, Patrizia Botteri, un quadro diverso da quello delineato dalla procura in merito all’indagine che ha portato agli arresti domiciliari lo stesso Zucchiatti, insieme a Luigino Cancian, comandante della polizia municipale di Sacile, e il maresciallo di Pordenone Francesco D’Angelo, con l’accusa di concorso in rilevazione di segreto d’ufficio aggravato.

Leonardo Zucchiatti è arrivato in tribunale verso le 9,30 accompagnato dal suo avvocato, Bruno Simeoni, per l’interrogatorio di garanzia. Mezz’ora prima si era presentato Luigino Cancian, con l’avvocato Paolo Dell’Agnolo. Un udienza breve, la sua, perché - su consiglio del legale - Cancian si è avvalso della facoltà di non rispondere. Stessa opzione per Francesco D’Angelo, assistito da Antonio Pedicini. Ma dietro la strategia degli avvocati non c’è, spiegano, la volontà di mantenere il silenzio, ma solo «le necessità di prendere visione del fascicolo, cosa che non abbiamo ancora avuto modo di fare».

Zucchiatti, invece, «ha reso le sue dichiarazioni - riferisce Simeoni - e fornito i chiarimenti opportuni». Il comandante della polizia municipale di San Daniele avrebbe negato di conoscere sia D’Angelo che Alessandro Furlan (nipote di D’Angelo e, insieme a Stefano Lipizer, secondo la procura, “raccomandato” al concorso di vigile urbano, ndr). Precisazioni utili a far cadere il sospetto che potesse esistere una macchinazione, ad opera di un sodalizio, finalizzata a manipolare i concorsi. Peraltro Zucchiatti non era solito presiedere o partecipare a commissioni incaricate di valutare i candidati: l’unica volta in cui fu componente di commissione risale agli inizi degli anni 2000, quando ricopriva l’incarico di comandante a Fagagna.

Contatti con Cancian? Questi sì, ci sarebbero stati, ma rientrerebbero nelle normali relazioni tra colleghi legati da stima reciproca e diverse competenze. Il materiale della procura direbbe, invece, altro, sostenendo che i due si sarebbero sentiti spesso in relazione al concorso, le cui tracce Zucchiatti avrebbe spedito a Cancian a mezzo fax (presso una pensione di Lignano), e quest’ultimo se ne sarebbe persa una parte (uno dei tre fogli), recuperato dai carabinieri ed esibito come prova.

Per l’avvocato di Zucchiatti il colloquio «tranquillo, molto sereno» davanti al gip, sarebbe stata “smontata” l’ipotesi sostenuta dalla procura circa l’esistenza di una sorta di “organizzazione” in grado di influenzare l’esito del concorso oggetto d’indagine, e a maggior ragione di più concorsi.

Più cauto l’atteggiamento degli altri due indagati che, come detto, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, riservandosi però di chiedere la riconvocazione dopo che i legali avranno consultato tutti gli atti. In quella sede probabilmente a Cancian verrà chiesto di spiegare le ragioni della rimozione delle microspie che erano state posizionate nel suo ufficio.

Infine è stata avanzata al gip la richiesta di revoca della misura cautelare; in caso di diniego già preannunciato il ricorso al tribunale del riesame.

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