Conte è già al lavoro sul nuovo decreto: l'Italia diventerà zona arancione, ecco tutte le ipotesi di un "lockdown soft"

I numeri e le proiezioni costringono il premier a ragionare su una chiusura “morbida” estesa al territorio nazionale
Il piano: vietare gli spostamenti tra regioni e chiudere le attività non essenziali, ma le scuole resterebbero aperte
epa08764358 Italian Prime Minister Giuseppe Conte delivers a speech at the Lower House about the initiatives taken by the government against the Covid-19 emergency, in Rome, Italy, 22 October 2020. Giuseppe Conte told the Lower House that his government was ready to take further action if necessary amid a sharp rise in COVID-19 contagion in Italy. "We will be ready to intervene again if necessary," the premier said as he presented a package of new restrictions approved at the weekend to combat contagion. EPA/Roberto Monaldo / LaPresse / POOL
epa08764358 Italian Prime Minister Giuseppe Conte delivers a speech at the Lower House about the initiatives taken by the government against the Covid-19 emergency, in Rome, Italy, 22 October 2020. Giuseppe Conte told the Lower House that his government was ready to take further action if necessary amid a sharp rise in COVID-19 contagion in Italy. "We will be ready to intervene again if necessary," the premier said as he presented a package of new restrictions approved at the weekend to combat contagion. EPA/Roberto Monaldo / LaPresse / POOL

Ogni bollettino, ogni proiezione sui contagi che in queste ore arriva a palazzo Chigi è una picconata alle speranze di Giuseppe Conte di riuscire a evitare un nuovo lockdown generale. Nel governo sono sempre meno quelli convinti di poter prendere ancora tempo, come invece chiede il premier. «Si deve agire in fretta», gli ripetono senza sosta. E la breccia, ora che si sfiorano i 20 mila contagi al giorno, sembra aperta definitivamente.

La soluzione individuata da Conte è quella di un “lockdown soft” esteso a tutto il territorio nazionale. Una zona arancione, a un passo dalla chiusura generale, che non blocchi le scuole, le attività produttive e gli esercizi commerciali che offrono servizi essenziali. Senza limitazioni agli spostamenti, ma con i confini tra le regioni chiusi e che preveda interventi ancora più duri in quelle aree dove l’indice dei contagi viene considerato oltre la soglia di sicurezza, come a Milano o a Genova, ripristinando le vecchie zone rosse. Intere città, dunque, che potrebbero tornare a vivere l’incubo della scorsa primavera.

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L’idea della zona arancione nasce da due studi dell’istituto Mario Negri, consegnati a Conte, dove viene dimostrato che per quel breve periodo in cui questa misura restò in vigore in Italia, dall’8 al 12 marzo, ottenne degli effetti benefici sulla curva dei contagi. Sempre all’interno di questi studi vengono comparati i dati sull’efficacia dei coprifuoco serali nei paesi europei che li hanno adottati: irrilevanti, fatta eccezione – si legge – per un effetto di tipo psicologico, che indurrebbe la popolazione ad avere una percezione più alta del pericolo di contagio. L’idea di un coprifuoco alle 22, come ipotizzato nei giorni scorsi, appare dunque superata.

Bar, ristoranti ed esercizi commerciali dovrebbero chiudere. Le scuole, invece, resterebbero aperte, ma con regole più chiare e valide per tutti. Conte ha sotto mano le varie ordinanze regionali emesse negli ultimi giorni e il lavoro da fare nel prossimo Dpcm, insieme a Lucia Azzolina, sarà anche quello di riuscire a imbrigliare le corse in avanti dei governatori. Azzolina sta pensando quindi di inserire delle griglie che, per quanto adattabili alle esigenze dei vari territori, abbiano dei numeri chiari, ad esempio, sulla percentuale di didattica a distanza possibile. Libertà, poi, di muoversi all’interno della propria città o da un comune all’altro; se invece si deve cambiare regione per «comprovate necessità», torna l’autodichiarazione.

Sono queste, dunque, «le misure restrittive che siamo pronti ad adottare» di cui parla il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri a Radio1, prima di tentare una rassicurazione: «Il governo sosterrà le categorie economiche che risentiranno dell’impatto economico del Coronavirus. Le risorse ci sono». Resta il braccio di ferro sulle tempistiche con cui dar vita alla zona arancione. Il premier è arroccato a palazzo Chigi. Nel pomeriggio riceve il commissario Stefano Arcuri, per avere un rapporto sulle scorte di mascherine e gel disinfettante in vista dell’ulteriore stretta. Poi «è tornato a studiare i dati e gli ultimi rapporti che gli hanno recapitato – riferisce chi gli è vicino –. I dati del monitoraggio del Comitato tecnico scientifico lo hanno molto preoccupato. È determinato a intervenire». Se possibile, però, vorrebbe attendere la giornata di lunedì per emettere il ventiduesimo Dpcm dell’anno. Perché l’attenzione del presidente del Consiglio sarebbe rivolta anche a quel che fanno i nostri vicini europei. Francia e Gran Bretagna, piegate dall’epidemia, si preparano infatti a un nuovo lockdown a partire dalla prossima settimana e Conte non vuole precederli e essere di nuovo il primo in Europa a imporre una chiusura, per quanto soft, al Paese. «Ma se aspettiamo ancora qualche giorno, saremo costretti a passare direttamente alla zona rossa», gli ha fatto notare il fronte interno dei rigoristi.

Un partito trasversale di cui il ministro della Salute Roberto Speranza è il portabandiera, spalleggiato dai capidelegazione del Pd e del M5S, Dario Franceschini e Alfonso Bonafede e dal vicepresidente del Pd Andrea Orlando, dal Cts e da molti governatori, tra cui il presidente della Lombardia Attilio Fontana e quello della Campania Vincenzo De Luca. Tutti battono il tasto sulle proiezioni elaborate dagli epidemiologi che prevedono, in mancanza di rapide e forti contromisure, sino a a 40mila contagi al giorno in una settimana o poco più. E a quel punto, un lockdown generale non sarebbe più rinviabile.

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