Coronavirus, il fermo produttivo: incerto blocco alle aziende e al lavoro - L'analisi

Al tempo del coronavirus, alla luce della progressione dei contagi, dal 23 marzo, anche le aziende e il lavoro si fermano. Con una inedita serrata, estesa a tutto il territorio nazionale, il Governo (anche su pressione di alcune Regioni) ribadisce quanto è scritto nella nostra Costituzione. La salute è l’unico diritto fondamentale. Quindi, in situazioni di grave rischio, prevale sulla libertà di impresa e sul diritto al lavoro. Ed è altamente probabile che la misura sanitaria sia copiata, a breve, da altri Stati europei.

Tornando in Italia, una settimana dopo la firma del “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” e l'utilizzo di nuovi ammortizzatori sociali, le misure di sicurezza nei luoghi di lavoro adottate non sono sembrate adeguate e sufficienti per lavoratori e lavoratrici e per le loro famiglie.

Nel giorno del maggior aumento di morti per il coronavirus, è arrivata dunque la previsione di un blocco (la “sospensione”) di tutte le attività lavorative, organizzate in presenza, considerate non essenziali. La chiusura delle attività “produttive, industriali e commerciali” è una misura shock – efficace (per ora) fino al 3 aprile – che riporta all’ora più buia del periodo bellico. Nemmeno il terremoto del 1976 era arrivato a tanto, anzi lo slogan allora era stato “prima le fabbriche!”.

In attesa di veder pubblicato l’ennesimo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, pur condividendo la necessità di misure urgenti ancor più rigorose per la salvaguardia della salute delle persone, mi permetto di sollevare alcuni dubbi.

Dubbi sul metodo scelto per comunicarlo al Paese. La diretta facebook notturna finisce per aumentare il tasso di ansia dei cittadini e di preoccupazione per le regole democratiche. Dubbi anche sull’elenco delle attività di produzione di beni e servizi essenziali che devono restare aperte. A poche ore dalla ripresa del lavoro, regna l’incertezza. Sinora il diritto del lavoro conosceva l’elenco dei servizi pubblici essenziali nel caso di sciopero, ai sensi della legge n. 146/1990. Presumibilmente la lista sarà stilata sulla base dei codici Ateco, che sicuramente necessitano di opportuni adattamenti e integrazioni.

Invece, per frenare l’avanzata del contagio avremmo bisogno di misure certe e condivise, che uniscono e rassicurano in questo momento tragico. Avendo ben presente gli inevitabili effetti della pandemia sull’economia globale.

Non c’è dubbio, siamo in una situazione eccezionale. Più il Governo prende misure sanitarie severe più l’economia si deprime e colpisce i più deboli (le imprese tecnologicamente vecchie o che operano nei settori più esposti, i lavoratori fragili). Quindi bisogna aver presente anche il rischio che il virus diventi un moltiplicatore delle diseguaglianze sociali. —

* delegata del Rettoreal Trasferimentodella conoscenzaUniversità degli studidi Udine
 

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