Coronavirus in Fvg, crisi da 2,2 miliardi di euro nel terziario: sono a rischio 23 mila posti di lavoro

UDINE. In un Friuli Venezia Giulia in cui si contano oltre 77mila imprese extra agricole, di cui il 66% appartenenti a commercio, turismo e servizi, la crisi economica da coronavirus e del conseguente “lockdown” mette a rischio il 9% del valore aggiunto del terziario per il 2020, vale a dire 2 miliardi e 200 milioni di euro.
Sono a rischio in regione circa 23mila posti di lavoro nel comparto e potrebbero andare in fumo tra le 6mila e le 9 mila imprese del commercio, della ristorazione, della ricezione turistica, dei servizi alle imprese, dei servizi alla persona, della logistica. La stima è di Confcommercio Fvg sulla base dell’indagine curata da Format Research.
I commenti
«Sono numeri impressionanti – commenta il presidente regionale Giovanni Da Pozzo –. Per poterli evitare è necessario intervenire immediatamente sui fronti della liquidità e della pressione fiscale. Servono finanziamenti a fondo perduto e una sospensione della tassazione locale, una strada su cui si sta muovendo la Regione, ma che vede invece il governo procedere troppo lentamente.
Fondamentale inoltre anticipare – sottolinea Da Pozzo con i presidenti di Confcommercio Gorizia Gianluca Madriz, di Confcommercio Pordenone Alberto Marchiori e di Confcommercio Trieste Antonio Paoletti –, naturalmente in sicurezza, le riaperture previste nella fase 2: ogni giorno che passa significa l’aggravarsi della crisi per numerose imprese con ricavi congelati da quasi due mesi».
«Il grido d’allarme di queste ultime settimane trova ora conferma nelle stime dell’Osservatorio di Confcommercio – dichiara l’assessore regionale alle Attività produttive Sergio Bini –. La Regione è intervenuta da subito con un ddl specifico di provvedimenti per contenere i danni dell’emergenza e con vari altri provvedimenti mirati a tutelare impresa e occupazione. Con la nuova misura in fase di preparazione facciamo un ulteriore sforzo verso quelle categorie che nel nostro tessuto economico stanno patendo le maggiori conseguenze della crisi».
Crollo di fiducia
Nell’illustrare l’indagine con focus il Covid-19, il direttore scientifico di Format Research Pierluigi Ascani evidenzia come l’emergenza in atto abbia provocato in Fvg «un crollo di fiducia verticale nell’andamento dell’economia in generale da parte degli operatori del terziario (peggiorato per il 90% circa) e nell’andamento della propria attività economica (peggiorato per l’80% delle imprese).
L’unico settore di attività economica che continua a reggere è quello della distribuzione al dettaglio alimentare, mentre tutti gli altri settori fanno registrare risultati così negativi da risultare “fuori scala”».
A giugno il “picco” della crisi economica
La capacità di produrre ricavi delle imprese del turismo (alberghi, bar e ristoranti), da sempre più performanti rispetto alle altre imprese della regione, è stata di fatto azzerata.
La crisi economica delle imprese del commercio, del turismo e dei servizi del Fvg, informa Confcommercio regionale, si articola lungo quattro direttrici principali: crollo dei ricavi (denunciato dall’80% delle imprese), crollo della liquidità (il 66% fa registrare un peggioramento della capacità di fare fronte al proprio fabbisogno finanziario), prospettive incerte sul fronte dell’occupazione, riduzione del numero complessivo delle imprese del terziario in regione: migliaia di imprese chiuderanno senza più riaprire.
Il “picco” della crisi è previsto a giugno, nel corso del quale gli operatori del terziario si attendono contemporaneamente il periodo peggiore per il 2020 in termini di andamento dell’impresa, il periodo peggiore dell’anno per quanto concerne la liquidità, l’insorgere della crisi sul fronte occupazionale.

Il secondo semestre
Dopo giugno il nodo del peggioramento in combinato disposto dei principali indicatori economici dovrebbe cominciare lentamente a sciogliersi: l’andamento delle imprese migliorerà leggermente nel corso dei mesi estivi, la capacità delle imprese del terziario Fvg di fare fronte al proprio fabbisogno finanziario migliorerà soltanto verso la fine dell’anno.
La dimensione più grave rischia di rivelarsi quella dell’occupazione che comincerà ad entrare in crisi proprio nel corso della metà del 2020 e senza alcun segno di inversione di tendenza nel proseguo dell’anno.
Non stupisce quindi l’impennata delle domande di credito nei primi mesi del 2020 (41% contro il precedente 27%), chiara attestazione dell’impellente necessità di ossigeno per gli operatori del territorio. A fronte dell’ingente numero di richieste, è raddoppiata la quota di imprese ancora in attesa di un feedback.
Il fattore tempo è la discriminante decisiva per permettere alle imprese di rimanere a galla. Gli operatori del territorio si aspettano uno snellimento dell’iter di richiesta del credito.
In ultimo alcuni dati che in qualche modo possono restituire la cifra della crisi economica in atto: alla fine del 2019 le imprese del terziario erano oltre 51.000, alla fine del 2020 potrebbero essere meno di 45.000, e gli occupati da 220.000 saranno 197.000.
Come cambia il servizio
Il contesto di crisi ha inoltre spinto le imprese a rivedere profondamente le tradizionali modalità di erogazione del servizio. In questo senso, gli operatori che hanno deciso e potuto continuare la propria attività, hanno visto innescarsi automaticamente dei meccanismi in grado di accelerare il processo di evoluzione dei propri modelli di business, sicuramente già in atto prima, ma ad una velocità ben più moderata.
È infatti aumentata del +214% la quota di imprese del terziario che hanno attivato un canale di consegna a domicilio (sono oggi il 22% contro il 7% che si registrava nel periodo precedente la crisi) e del +140% la percentuale di operatori che hanno attivato la soluzione dell’e.commerce (sono oggi il 36% contro il precedente 15%).
Fiducia e congiuntura
La crisi sanitaria dovuta all’esplosione della pandemia da COVID-19 ha provocato un crollo senza precedenti della fiducia presso le imprese del terziario del Friuli Venezia Giulia, estremamente preoccupate per le sorti dell’economia italiana.
Gli operatori del territorio mostrano evidenti segni di sconforto anche per l’andamento della propria attività. Nei primi mesi del 2020 l’indicatore congiunturale, restituito dalla somma tra coloro che hanno indicato un miglioramento della situazione e la metà di coloro che hanno indicato una condizione di invarianza, è risultato pari a 11, perdendo oltre 30 punti rispetto alla fine del 2019 (era pari a 42,2). Si tratta del valore più basso mai registrato da quando sono in linea le serie storiche dell’osservatorio.
La crisi sanitaria sta velocemente assumendo le fattezze tipiche di una crisi economica, ben più profonda rispetto a quelle vissute recentemente nel 2008 (crisi subprime) e nel 2011 (crisi del debito sovrano). Il rischio concreto che si sta correndo interessa di fatto la tenuta economica (oltre che sociale) di tutta la regione. Per dare una dimensione reale al fenomeno, è bene sottolineare come alcuni degli equilibri “storici” dell’economia del territorio siano stati letteralmente stravolti nel giro di poche settimane.
Il settore del turismo, fiore all’occhiello della regione negli ultimi anni, pur non essendo coinvolto direttamente dalle disposizioni di chiusura ha visto praticamente annullate tutte le prenotazioni per i prossimi mesi, costringendo gli operatori ad auto-sospendere l’attività.
Si tratta del comparto che ha fatto registrare il crollo più evidente nell’ambito del tessuto produttivo, passando da vero e proprio traino dell’economia del territorio (decisivo anche per tutto l’indotto e le filiere attorno ad esso) ad una situazione di quasi totale immobilismo, con la nefasta prospettiva di un’estate a scartamento ridotto come mai vissuta nella storia recente.
Si tratta del comparto che ha fatto registrare il crollo più evidente nell’ambito del tessuto produttivo, passando da vero e proprio traino dell’economia del territorio (decisivo anche per tutto l’indotto e le filiere attorno ad esso) ad una situazione di quasi totale immobilismo, con la nefasta prospettiva di un’estate a scartamento ridotto come mai vissuta nella storia recente.
Allo stesso modo, le imprese della ristorazione (pubblici esercizi, ristoranti), quelle dei servizi alla persona (parrucchieri, estetisti), quelle del commercio al dettaglio non alimentare (es. negozi di abbigliamento), hanno visto quasi del tutto azzerato il proprio volume di affari nei mesi di marzo e aprile a causa della condizione di “attività non essenziale” che ne ha causato la temporanea sospensione dell’attività.
Per questi comparti è lecito parlare di vero e proprio allarme, anche per le difficoltà ravvisate da gran parte degli operatori in termini di capacità di rispettare le scadenze in calendario onorando affitto dei locali e buste paga dei collaboratori (con conseguente enorme danno all’economia del territorio).
Discorso a parte per le imprese del commercio al dettaglio alimentare, che proprio in virtù della peculiare essenzialità del lavoro svolto hanno indirettamente rappresentato una delle poche motivazioni rimaste ai cittadini per poter interrompere momentaneamente la quarantena obbligata. Di fatto, il settore ha “beneficiato” del contesto di crisi, anche a causa della corsa all’acquisto che ha caratterizzato i comportamenti dei consumatori specialmente nella prima fase dell’emergenza.
Il crollo del clima di fiducia è correlato al livello dei ricavi da profondo rosso (-27 punti l’indicatore congiunturale), anche a causa dell’azzeramento dei fatturati nei mesi di marzo e aprile presso alcuni comparti del tessuto produttivo. La previsione per il secondo trimestre dell’anno non lascia sperare in una vera inversione di tendenza.
Stima dell'impatto della crisi
In Friuli Venezia Giulia oggi esistono oltre 77 mila imprese extra agricole, di cui il 66% sono imprese del terziario (commercio, turismo, servizi). A seguito dell’esplosione dei contagi da COVID-19, il Governo centrale ha imposto un lockdown che ha interessato larga parte del tessuto produttivo, colpendo in maniera decisa proprio il comparto del terziario.
La sospensione delle attività ha comportato la paralisi del tessuto produttivo della regione: per il 2020 è a rischio il 9% del valore aggiunto complessivo del terziario, sono in bilico circa 23 mila posti di lavoro nel comparto e potrebbero andare in fumo tra le 6 mila e le 9 mila imprese del commercio, della ristorazione, della ricezione turistica, dei servizi alle imprese, dei servizi alla persona, della logistica.
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