Coronavirus, in Fvg le terapie intensive reggono l’urto ma gli ospedali sono sotto stress

UDINE. La matematica non è un’opinione. Ma i numeri possono cambiare aspetto a seconda della prospettiva da cui li si guarda. E anche in una fase drammatica come quella di questi giorni, segnata da una evidente accelerazione dei contagi, si può individuare qualche cifra capace di rendere un po’ meno pessimistiche le nostre aspettative.
La logica dell’ultimo dossier della presidenza del Consiglio sulla pandemia da Covid 19, datato 29 ottobre, è anche questa: fotografare da un lato le ragioni della preoccupazione e del rigore, dall’altro lanciare messaggi tranquillizzanti sulla capacità di tenuta del nostro sistema sanitario.
In particolare sui reparti di terapia intensiva, il cui tasso medio di occupazione, pur con rilevanti differenze tra regione e regione, al momento si attesterebbe al 23,2 per cento, considerando come tetto i 5.179 posti disponibili a inizio emergenza più gli ulteriori 1.913 già attivati secondo gli obiettivi del decreto Rilancio.
Con la possibilità di portarli, in base al report del Governo, a 8.488 in base ai ventilatori già distribuiti, e di raddoppiarli a un totale di 10.337 sommando quelli nelle disponibilità delle regioni e della Protezione civile nazionale.
FVG E ITALIA
Guardando alla tabella del Governo, la capacità di tenuta sembra rassicurante anche a fronte di un incremento medio dei ricoveri in terapia intensiva che attualmente viaggia al ritmo del 60-70% settimanale, per un totale che sabato 31 ottobre ha superato quota 1.800, pari a un quarto di quella che il Governo considera la capacità attuale del sistema.
Capacità che in Friuli Venezia Giulia risulta occupata ancora meno, considerato che giovedì, data cui si riferisce il report di Palazzo Chigi, il tasso di occupazione delle terapie intensive in regione era del 19,4%, molto al di sotto della media nazionale e soprattutto delle regioni più colpite in rapporto alla popolazione, come Umbria (42%), Valle d’Aosta (35%), Lombardia (33%), Campania (32%) e Toscana (30%).
Le percentuali riflettono non soltanto la “aggressività” dell’epidemia regione per regione, ma anche la velocità con cui le varie amministrazioni regionali sono riuscite a rafforzare i propri reparti d’emergenza secondo quanto previsto dal decreto Rilancio. E in Friuli la capacità massima attuale è calcolata in 175 posi, quasi 3 volte in più rispetto al picco di 61 posti occupati raggiunto il 3 aprile, al culmine della prima ondata.
TERAPIE INTENSIVE E REPARTI COVID
Ad accendere la spia dell’allarme rosso è il tasso di positività ai tamponi, stabilmente sopra il 10% a livello nazionale e ormai piuttosto alto anche in regione (sopra l’8% medio negli ultimi giorni). A mitigare in parte questo dato, che misura meglio di qualsiasi altro parametro la capacità di diffusione del virus, un tasso di malati che per fortuna resta particolarmente basso.
A livello nazionale, oggi, il 94% dei positivi sono asintomatici o con sintomi lievi, quindi non ospedalizzati, e i ricoverati sono il 6%, per l’esattezza il 5,8%, quota che risulta peraltro in calo da una decina di giorni a questa parte.
Quanto ai malati più gravi, i ricoverati nelle terapie intensive, sono lo 0,5%, vale a dire 1 su 200. Simili i dati del Friuli Venezia Giulia, dove la percentuale complessiva dei ricoverati è più bassa, solo il 4,4% tra reparti Covid e rianimazioni, ma con una percentuale più alta di terapie intensive, pari allo 0,8% sul totale dei positivi.
STRESS OSPEDALIERO
Guardando all’evoluzione dei contagi nel tempo, un fattore di allarme potrebbe essere rappresentato dal numero di ricoverati nei reparti Covid, cioè al di fuori delle terapie intensive e sub-intensive.
Se queste ultime si attestano oggi su un livello di utilizzo pari a circa il 45% rispetto ai picchi di inizio aprile, e attorno a un quarto, come detto, della capacità attuale del sistema, il numero di ospedalizzati non gravi, circa 18 mila, è già al 70% rispetto ai valori più alti della prima ondata, e in regione all’80%, confrontando i ricoveri “ordinari” di ieri ai 206 del primo aprile.
Un dato che rafforza le preoccupazioni non tanto sulla possibilità di dare una risposta alla crescita dei contagi, quanto sull’effetto stress per il sistema ospedaliero, perché la quantità di risorse tecniche, logistiche e umane impegnate sul fronte dell’epidemia finisce inevitabilmente per ripercuotersi negativamente sull’attività degli altri reparti. —
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