Coronavirus, nei prossimi giorni in Friuli il via libera ai test sierologici: ecco come funzionano

Per i test sierologici in Fvg bisogna attendere almeno qualche giorno ancora, in attesa che dalla comunità scientifica arrivi il placet definitivo per la prova che, a partire da un micro-prelievo di sangue permette di verificare se una persona ha già sviluppato gli anticorpi contro il coronavirus. Le aziende hanno un obiettivo: far rientrare i dipendenti negli stabilimenti, con tutte le precauzioni del caso e dare finalmente il via all’agognata Fase 2.
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E al di là dei dispositivi di protezione individuale, la sicurezza passa attraverso la ragionevole certezza di non avere contagiati tra i lavoratori. Per questo c’è chi preme per velocizzare i test e puntare, dunque, su quelli sierologici. Dalla Direzione centrale Salute della Regione è arrivato tuttavia un altolà che non può essere ignorato: in attesa dell’imminente validazione («Questione di giorni, ormai», indica il direttore del Dipartimento di medicina di laboratorio dell’Azienda sanitaria universitaria del Friuli centrale), i test sierologici vanno presi unicamente come esperimento.
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L’attesa per i test sierologici. Bisogna attendere dunque. La Regione ha confermato con una circolare firmata il giorno di Pasqua dal direttore centrale della Salute, Gianna Zamaro, «che la positività dei test sierologici nei lavoratori a ora non ha alcuna utilità per consentire loro l’ingresso o meno nel luogo di lavoro, in quanto non è segno di immunità all’infezione ma eventualmente di contatto con il virus Sars CoV2, assunto anche questo da prendere con cautela».
I tamponi in ogni caso, restano lo strumento principe per individuare il potenziale infettante del soggetto: «Test sierologico e tampone non sono alternativi – indica Curcio –. La prova sierologica indica che c’è stato un contatto pregresso, ma non ci dice, al contrario del tampone, se quella persona è potenzialmente infettante». In attesa del definitivo via libera, anche i laboratori privati sono dunque chiamati a prendere tempo.
Come funziona. Esistono sostanzialmente tre tipi di test sierologici: due “quantitativi” da laboratorio con due tipologie di metodo diverse (in chemiluminescenza e in Eia) e uno “qualitativo” ad immunocromatografia, definito rapido (con tempi di risposta di circa 15 minuti): sono i kit che, già smerciati da alcune aziende farmaceutiche, consentono a prezzo relativamente contenuto (pochi euro) di bypassare i laboratori.
Il pacchetto comprende un pungidito con il quale viene prelevata una goccia di sangue, da rilasciare poi su uno stick che contiene proteine virali coniugate con particelle colorate e con anticorpi contro le immunoglobine IgM (prodotte nella fase iniziale dell’infezione) e IgG (che si trovano nel sangue indicativamente due settimane dopo il contagio). Si chiamano test sierologici perché la parte utile a far scattare la reazione è il siero sanguigno ovvero il plasma (fase liquida del sangue) senza fibrinogeno, fattore VIII, fattore V e protrombina. «In ogni caso – riprende Curcio – i test di laboratorio sono più utili di quelli rapidi, perché risulta fondamentale sapere non solo se ci sono, ma anche quanti anticorpi sono presenti: tant’è che i test rapidi, tecnologicamente non sempre accurati, sono utilizzati con sempre minor frequenza anche all’estero».
La patente di immunità. La strada per arrivare alla patente di immunità, sorta di certificato che indica l’avvenuta immunizzazione rispetto al coronavirus, è ancora lunga però. Perché mancano alcuni elementi cardine per scongiurare i rischi da infezione: non tutti i microorganismi che causano le infezioni determinano una uguale risposta immunitaria. «E quindi non è chiaro quanto possa durare l’immunizzazione, cioé quanto sono effettivamente efficaci gli anticorpi», indica ancora il direttore del Dipartimento di medicina di laboratorio dell’Azienda sanitaria universitaria del Friuli centrale.
I tamponi. Parallelamente prosegue l’attività di analisi dei cosiddetti casi attivi, che emergono grazie all’analisi dei tamponi, con i quali ormai abbiamo imparato a familiarizzare. Con il tampone (una specie di cotton-fioc) viene prelevato materiale dalla superficie della mucosa tonsillare (gola) e dalle secrezioni del naso. Una volta prelevato un campione di materiale genetico, il tampone viene immerso in un gel e mandato nei laboratori di analisi, che hanno il compito di verificare la positività o meno al virus. Un test che andrebbe effettuato su larga scala e a cadenza regolare per capire effettivamente la percentuale di persone infettate nel momento dell’analisi. Impossibile perché mancano tamponi e reagenti: «In questo momento in Fvg c’è carenza proprio del tampone, mentre abbiamo risolto al momento il problema della carenza di reagenti: attualmente – indica Curcio – riusciamo a trattare una media di 1.300 tamponi al giorno».
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