Covid, raggiunti in regione i 400 mila casi dal 29 febbraio 2020: un abitante su tre è stato contagiato
Una storia lunga quasi due anni e mezzo, non ancora conclusa. Un insieme di sorpresa, paura, lutti, polemiche, affanni, speranza
UDINE. I giorni della pandemia in Friuli Venezia Giulia sono 852. E i contagi, dal dato del 30 giugno 2022, superano quota 400.000. Una storia lunga quasi due anni e mezzo, non ancora conclusa. Un insieme di sorpresa, paura, lutti, polemiche, affanni, speranza. Nel momento in cui la regione conta, dall’inizio dell’incubo, circa un positivo ogni tre residenti, la nuova ondata spaventa però di meno. Effetto di una campagna vaccinale che ha raggiunto l’85% della popolazione e di un virus diventato più “buono”. Il 30 giugno 2022 è un’altra tappa. Come in passato il 29 febbraio 2020, il giorno del primo contagio in Fvg.
E poi il 7 aprile 2021 (100.000 infezioni), il 14 gennaio 2022 (200.000), il 17 febbraio 2022 (300.000). Distanze molto diverse perché il trend della pandemia ha conosciute ondate e riflussi. Si è partiti con le immagini dalla Cina, fine 2019, tute bianche e ventilatori ospedalieri, sembrava un film.
E si è arrivati a oggi, con giorni da 2 mila casi sulle 24 ore, ma una pressione ospedaliera nemmeno paragonabile a quelle dei mesi scorsi.
Tutto inizia in Fvg il 29 febbraio di due anni fa. Il virus entra per la prima volta da Treviso: un goriziano si reca in ospedale in visita a un parente e ne esce contagiato.
Accadrà decine di migliaia di volte: il Sars-CoV-2 rimbalza come una pallina da flipper nelle case, negli uffici, nelle fabbriche. Impossibile fermarla.
Il focolaio che spaventa, a inizio marzo 2020, è quello dell’università di Udine: un uditore piemontese al rientro nella sua regione ha qualche sintomo, fa il test e lo trova positivo.
Andrà così per altri partecipanti al convegno: da Remanzacco, dove la moglie di un assessore contagia il marito e, a cascata, mezza giunta comunale, a Praga.
Non è una polmonite normale. Quando il virus sviluppa le forme gravi del Covid, si rischia di morire. Soprattutto se si è anziani e malati. Altro che influenza. Il 10 marzo, pure in Fvg, scatta il confinamento: tutti a casa, se non per lavoro e strette necessità.
Ci si comincia a fare i tamponi, i ragazzi si collegano con la scuola via computer, si lavora dal luogo di residenza, si ferma perfino il campionato di calcio.
E ci si mette la mascherina, dappertutto. È un mondo senza baci e abbracci, ma con le mani igienizzate. Poi, con i vaccini, ecco un po’ di luce.
A Palmanova, il 27 dicembre 2020, il presidente Massimiliano Fedriga saluta «una giornata storica»: la prima somministrazione del farmaco a Ariella Breda, la dottoressa che individuò il primo caso nel territorio.
Il Fvg non brilla nelle classifiche dell’adesione, ma poco a poco si vaccinano quasi tutti, i triestini un po’ meno degli altri. La città diventa la capitale no vax quando i portuali, trascinati da Stefano Puzzer, contestano quello che è diventato il lasciapassare per ricostruire la propria vita sociale: il Green pass.
Per contare 100.000 contagi si mettono in fila 403 giorni. Ne serviranno 282 per arrivare a 200.000 e solo altri 34 per salire a 300.000. Tra gennaio e febbraio 2022 il virus corre come mai prima, perché quella che viene battezzata Omicron è una variante contagiosissima, ma che non fa male più di tanto, non almeno come quelle precedenti.
Con le sue sottovarianti passano altri 133 giorni, dal 17 febbraio a ieri, ed eccoci a 400.000 infezioni.
Un numero che non corrisponde precisamente ai cittadini, perché qualcuno, il virus, lo ha preso due volte: secondo le stime dell’Istituto superiore di sanità, nell’ultima settimana la percentuale di reinfezioni sul totale dei casi segnalati risulta pari a 8,4%, in aumento rispetto alla settimana precedente (7,5%).
Ma soprattutto perché negli ultimi due mesi, visto che il contagio non determina conseguenze più di tanto pesanti per la salute, più di qualcuno se lo gestisce in autonomia.
«C’è una chiara sottostima del numero dei nuovi casi, molti non vengono riportati perché si fanno tamponi a domicilio», conferma Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità. Non è finita, non ancora. Ma i vaccini, visto il crollo dei decessi, sono uno scudo confortante.
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