Crac Amato, chiesti 2 anni e 10 mesi per Siciliotti

UDINE. Due anni e dieci mesi di reclusione per avere contribuito a determinare il crac dello storico pastificio “Antonio Amato & C. Molini e pastifici in Salerno spa”: è la pena chiesta dal pm di Salerno, Vincenzo Senatore, per il commercialista udinese Claudio Siciliotti, 64 anni, già presidente nazionale dell’Ordine dei dottori commercialisti e, all’epoca, consulente degli Amato.
Per conoscere la decisione del tribunale campano bisognerà attendere non meno di un mese. Sino ad allora, con candenza settimanale calendarizzata fino al 22 marzo, toccherà alle difese cercare di smontare l’impianto accusatorio, che ha trascinato a processo 26 imputati e chiesto condanne per 22 di loro, per un totale di 85 anni di carcere.
In sei ore di requisitoria e 400 pagine di memoria, il sostituto procuratore ha ripercorso le tappe che avrebbero portato al dissesto dell’azienda e, dopo il fallimento da 100 milioni di euro dichiarato il 20 luglio 2011, alla formulazione delle ipotesi di reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale nei confronti dei suoi vertici e di coloro che, come il professionista friulano, li avrebbero mal consigliati.
La vicenda si era chiusa con il patteggiamento della pena già nel 2012 per Giuseppe Amato jr (3 anni e 6 mesi), Mario Del Mese, ex deputato e vicesegretario nazionale Udeur (2 anni e 10 mesi), Antonio Amato (3 anni) e Antonio Amato jr (1 anno e 11 mesi). Per Carmine Acconcia, ex componente del collegio sindacale, era stata pronunciata la condanna a 1 anno e 6 mesi con rito abbreviato.
Ora, la pena più alta è quella a 8 anni chiesta per Paolo Del Mese, ex sottosegretario alle Partecipazioni statali. A seguire, i 6 anni per l’imprenditore Antonio Anastasio, i 4 anni per Enrico Esposito e per Marcello Mascolo, i 3 anni e 6 mesi per Alfredo Delehaye, i 2 anni e 10 mesi per Siciliotti, i 2 anni e 6 mesi per Massimo Menna e i 2 anni e 2 mesi per Alfio Barbato. Tra gli imputati figurava anche il cavalier Giuseppe Amato, deceduto nel 2016.
A Siciliotti, che nel procedimento è difeso dall’avvocato Luca Ponti, di Udine, si contesta una sola operazione immobiliare, condotta insieme all’ex presidente dell’Ordine dei commercialisti di Novara, Roberto D’Imperio: la vendita per 20 milioni di euro di un vecchio stabilimento dismesso dal Pastificio alla “Amato Re srl” - società ritenuta consorella della spa - per trasformarlo in una condominio di lusso a firma del noto architetto francese Jean Nouvel.
Il successivo crollo dell’impero degli Amato, però, ha indotto il pm a ipotizzare essersi trattato invece di un modo per fare uscire quattrini dall’azienda prima del default e per metterla al riparo dalle successive azioni dei creditori. Dopo il fallimento, lo stabilimento finì in pegno al Monte dei Paschi di Siena, che aveva garantito i prestiti necessari alla progettata speculazione edilizia.
Per la Procura, Siciliotti e il collega lombardo, pur se a conoscenza «della situazione di conclamato dissesto», «suggerirono di separare l’immobile dalla gestione sociale», concorrendo in tal modo nella dissipazione del patrimonio sociale. Ricostruzione che Siciliotti ha sempre respinto. «Non ho suggerito un bel niente – aveva detto attraverso il proprio difensore –. Mi sono limitato a fornire una valutazione sui possibili effetti fiscali e contabili di una decisione che la società aveva già assunto».
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