Crac BpVi, la richiesta dei pm per l'ex presidente e gli altri imputati: "Perché dovete condannare Zonin a 10 anni"

VICENZA. Dopo decine di udienze e due anni esatti (dicembre 2018) dall’apertura del dibattimento, ieri il processo per il crac BpVi, che ha coinvolto decine di migliaia di soci, 12.500 dei quali solo in Friuli, è arrivato a uno snodo decisivo, vale a dire le richieste di condanna degli imputati da parte del pubblico ministero. E allora 10 anni per l’ex presidente Gianni Zonin; otto anni e mezzo per l’ex vice direttore generale Emanuele Giustini; otto anni e due mesi per l’ex consigliere di amministrazione Giuseppe Zigliotto, per l’altro ex vice direttore generale (responsabile dei crediti) Paolo Marin e per il dirigente Massimiliano Pellegrini (preposto al bilancio); infine otto anni per l’ex vice dg a capo dell’area Finanza Andrea Piazzetta. Queste le richieste formulate dal Pm Luigi Salvadori al termine della lunga requisitoria, divisa in quattro udienze, nei confronti degli ex vertici della Banca popolare di Vicenza.
A introdurre l’affondo che ha portato a formulare le pesanti domande di pena, dopo due anni di dibattimento, era stato qualche minuto prima il Pm Gianni Pipeschi spiegando come il reato di falso in prospetto sia stato ritenuto dall’accusa quello più importante dei tre contestati (gli altri sono l’aggiotaggio e l’ostacolo agli organismi di vigilanza). Un improvviso cambio di prospettiva che ha di fatto consentito di alzare le richieste di condanna sino ad arrivare al doppio della pena di partenza (nel caso specifico 4 anni) allungando in questa maniera anche la prescrizione. «Il falso in prospetto è il reato più grave – ha puntualizzato il Pm Pipeschi –. Ed è stato commesso da tutti gli imputati al fine di creare profitto, se non altro per la banca. Con le loro condotte gli imputati hanno tratto in inganno i clienti. Occultando le “baciate” hanno voluto far recitare alla banca un ruolo che non aveva più. In questo tutti hanno avuto una funzione. C’erano soggetti che all’interno del consiglio di amministrazione avallavano le baciate e altri, nel management, che le facevano. Il reato è stato consumato a Vicenza dove il prospetto veniva messo a disposizione e poi pubblicato con gli avvisi».
A spiegare il calcolo che ha portato alle richieste di condanna è stato invece il sostituto procuratore Salvadori: «Il primo elemento che abbiamo considerato per la quantificazione delle pene è il numero dei reati contestati che hanno messo in evidenza condotte delittuose strutturate e sistematiche nel realizzare le operazioni baciate. Poi la loro modalità; certi comportamenti si sono interrotti solo per l’arrivo dell’ispezione Bce altrimenti sarebbero proseguiti». Quindi il Pm è passato alla gravità degli effetti che ha avuto la pratica dei finanziamenti correlati: «Con le baciate la banca di fatto stava mangiando sé stessa e il suo patrimonio». Ma gli imputati per la procura sono da condannare anche perché «erano consapevoli delle conseguenze che l’operatività delle operazioni correlate avrebbe avuto», nonché per il danno creato alla Popolare e di riflesso alla moltitudine dei soci. «A oggi il danno fatto è incalcolabile - ha sottolineato Salvadori -. Si potrà averne una stima solo all’esito della procedura di liquidazione coatta amministrativa. Ciascun imputato ha avuto il suo ruolo in tutto questo».
Tanto da meritare condanne a pene esemplari.
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