Crac Onda, Agrusti racconta la sua verità

Completo blu, gilet azzurro, cravatta rossa, niente sigaro. Michelangelo Agrusti, presidente di Unindustria Pordenone e già di Onda communication spa (fallita il 19 novembre 2013), accusato di frode fiscale (annate 2010-11) ieri mattina ha raccontato la sua verità al giudice monocratico Eugenio Pergola.
Ha puntato il dito contro chi ha determinato la fine della spa – a suo dire l’ex presidente Telecom Franco Bernabè e l’Agenzia delle entrate –, ha difeso i suoi dirigenti, sostenuto la trasparenza dei bilanci e dell’assetto societario, si è commosso parlando della sua creatura e della sua famiglia, ha svelato alcuni retroscena come il blitz degli israeliani nella sua abitazione romana.
Non ha lesinato qualche battuta: «Non sono dottore, toglietelo dai verbali. Sono simpatizzante di Israele. All’epoca delle indagini non fornirono nomi, ma tutti sapevano che due Harley Davidson le avevo solo io. Sono sempre stato contro la patologia delle mail, in azienda preferivo parlare e le mie sono rimaste chiuse. Le contabilità separate? Non so cosa siano: mi ricordo cos’è un batterio».
Genesi imprenditoriale
Assistito dall’avvocato Bruno Malattia, Michelangelo Agrusti ha ricostruito la sua carriera imprenditoriale cominciata «dopo il termine infartuale della mia carriera politica». Marketing internazionale in Electrolux, poi «Gianmario Rossignolo fu nominato presidente di Telecom e mi chiese di seguirlo». Detto e fatto, «mi appassionai al nuovo lavoro», erano i tempi, metà anni Novanta, del boom della telefonia mobile. Consulente e direttore commerciale di Telital, «divenne secondo fornitore di Telecom».
Tuttavia, l’azienda di Trieste «non ebbe il sostegno del sistema». Infatti, passò ad un gruppo israeliano, facente capo a Polar investiment, «composto da ufficiali di esercito ed aviazione in pensione. Nonostante prospettive di incarichi apicali e buon comoenso, me ne andai». Lo seguirono tre consulenti: Sergio Vicari, Josè Merino e David McInnay. «Elaborammo un progetto per dare alla telefonia mobile italiana una nuova prospettiva e fondammo Onda». Gli israeliani intentarono a Trieste una causa di concorrenza sleale che persero «e ricevemmo una dote importante per partire».
La società estera
«La società venne costituita in Lussemburgo perché due soci stranieri non volevano investire in Italia e perché gli israeliani continuavano a “perseguitarci”: fotografarono Giorgio Costacurta mentre appendeva le insegne a Roveredo, tentarono di introdursi nella casa di Roma e dallo spioncino vidi che non erano i rom che stazionano nella piazza del Pantheon». La società venne individuata da uno studio di Pordenone.
Chi credeva a questo progetto, «tra gli altri Antonucci, De Puppi, Campeis», mise i capitali, 400 mila euro. Svelato l’arcano Kermari: «Dissi alla Finanza che non si trattava di schermature. Sostenerlo fu un grave errore, fatto in buona fede».
Attacco mediatico
«Il grave errore – ha proseguito Agrusti – venne amplificato da una conferenza stampa a reti unificate durante la quale si sostenne che questi eventuali gaglioffi non avrebbero pagato l’Iva e si sarebbero spartiti i soldi alle Isole Vergini e Panama. Suggestioni». L’accusa: avere evaso Iva per 2 milioni di euro. Furono giorni «terribili per il mio ruolo, per la mia famiglia, per quelli che mi conoscono».
Li visse «come una cosa calunniosa e non mi sono mai reso conto del perché fu accelerata una situazione del genere. Sarebbe bastato chiedere una visura camerale in Lussemburgo, come si fa in Italia. E, ricordo, Friulia non interviene dove i soci sono occulti. E Onda le tasse le ha sempre pagate».
Una storia avvicente
Onda nacque grazie a un gruppo di tecnici usciti da Nokia e Telit. «Il direttore generale di Telecom Mauro Sentinelli suggerì di focalizzarci sul sistema Gsm. Con una società canadese sviluppammo il progetto in sei mesi: una chiavetta Usb, primi al mondo, con memoria. Fu l’inizio di una storia avvicente». All’epoca venivano depositati «numerosi brevetti, calati vistosamente da quando non c’è Onda: per fortuna ci siamo rifatti col Polo tecnologico». Con Zte, secondo gruppo industriale di settore cinese, «realizzammo telefoni evoluti, Umts, con stile italiano: il designer era Giugiaro».
Struttura aziendale
«In azienda volli una struttura che esaltava le responsabilità. Non mi interessava che si timbrassero i cartellini, ma che ci fosse il risultato». Agrusti ha detto di essersi sottratto più volte dal ruolo di presidente perché «ne volevo di più importanti, come Marco Tronchetti Provera e Mauro Sentinelli: sono cognomi brand. Come Renato Tomasini, già direttore commerciale di Motorola, Siemens, Lg. Venivano a Roveredo in Piano per stipendi ben inferiori rispetto a quelli erogati in altre realtà».
Il presidente di Unindustria, all’epoca, aveva «un rapporto esclusivo con Telecom e non mi sono sottratto al ruolo di banale venditore. Vivevo a Roma da martedì a venerdì, per capire dove voleva andare il mercato. In Brasile eravamo leader assoluti in sistemi di connessionea banda larga mobile». Con i dirigenti «vi era un rapporto fiduciario, non avevo motivo per pensare che dovessero fare delle cose meno che lecite».
Le cause del declino
«Nessun pm ha voluto sentirmi. Onda – ha attaccato Agrusti – ha subito un abuso di posizione dominante quando Bernabè assunse la guida di Telecom: arrivava da Telit, dove era socio degli amici israeliani. L’ordine era di demolire Onda». Un paio di pezzi su quotidiani nazionali «sulla causa di sette anni prima» e un retroscena: «Avevo offerto le dimissioni a Bernabè purché lasciasse sopravvivere Onda». Quindi i conflitti con Generali, l’amaro addio del fratello Raffaele che, ha scandito, «non ha mai alzato il telefono per sostenere le mie attività». Quasi un’ora di racconto, a braccio.
Poi Agrusti ha estratto dalla borsa in pelle marrone «queste carte», in realtà tavole preziose, ovvero i premi ricevuti alla fiera dell’elettronica mondiale. Uno per il pc che diventa una tv, nel 2008, l’altro per un tablet touch 10 pollici, precursore di quello lanciato da Steve Jobs, nel 2009. «Era la svolta: Onda sviluppava un suo prodotto in Italia, a Roveredo». Ma «Bernabè decise di stoppare questo progetto e virare sul Cubo Vision». Le gare on line perdure «peggiorarono la situazione».
Concordato e crac
Onda sarebbe stata in grado di sopravvivere? «Engeneering decise di investire nel concordato con una società americana». Ma si inserì l’Agenzia delle entrate, «che senza rispettare i 60 giorni notificò gli avvisi di accertamento». I soldi per la copertura vennero a mancare, alcune banche «votarono contro il progetto e fu la pietra tombale sulla vicenda».
Firme e fiducia
All’epoca Agrusti era presidente del consiglio di indirizzo e vigilanza del Cro e del Polo tecnologico e vice di Confindustria. «Ovunque sia andato, ho dato la massima responsabilità e fiducia ai miei dirigenti. Ho firmato tanti bilanci, mi sono fidato essendo certo che nessuno mi ha imbrogliato. Collegi sindacali e agenzie internazionali nulla hanno mai eccepito. Non c’è mai stata l’abitudine a evadere l’Iva. Mi sento parte lesa per tante circostanze, anche se alla Procura la cosa non interessa.
Di tutto questo, con la Finanza in azienda per due mesi, ho cercato di capire il minimo indispensabile. Ho verificato personalmente che le società estere esistevano e lavoravano». L’ultima affermazione: «Sono qui a difendere il mio onore e quello della mia società».
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