Crisi da Covid-19, l’accanimento burocratico delle banche sulle imprese

L'intervento dell'amministratore delegato di Bmv Cervignano del Friuli

UDINE. A Bergamo il 52% delle aziende è a rischi di fallimento, fa notare Confindustria, idem per Milano e per tutta la Lombardia. Nemmeno il resto dell’Italia se la sta passando meglio, ed è pericolosamente ridicolo continuare ad ignorarlo. Se andremo avanti così, con manovre a sostegno dell’esistente più che del rilancio, la crisi non si risolverà tanto in fretta e ci ritroveremo a settembre con l’economia allo sfascio.


Ma cosa si potrà mai fare allora per risollevarsi dall’enorme acquitrino in cui siamo sprofondati? La soluzione è talmente ovvia da sembrare quasi banale: le banche. Ma ci crediamo davvero? «Non ci siamo mai dimenticati di quando si andava in giro per le fabbriche a guardare negli occhi gli imprenditori prima di concedergli un prestito», ha detto giorni fa il direttore di un istituto di credito friulano durante un convegno. «E a noi dispiace che non lo facciate più», gli è stato risposto. «Gli unici aspetti importante per voi oggi sono: il Rating, i numeri, e la resilienza».

Ed in effetti è vero, è entrato da poco in funzione quella sorta di termoscanner finanziario che attraverso una serie di tabelle di screening effettua la prima valutazione dello stato di salute dell’azienda da finanziare, in cui la parola resiliente, tanto abusata nell’ultimo periodo, serve a identificare le società più capaci di esprimere qualità performanti. E se non verrai inserito in quella categoria, a nulla potranno valere le garanzie concesse dalla Stato, e la tua tanto agognata possibilità di rilancio se ne andrà a farsi benedire assieme agli aiuti governativi.


Eppure il concetto è molto semplice, lo capirebbe anche un bambino. Lo Stato è lo Zio benestante che rilascia la fideiussione per il nipote nulla tenente. O almeno così dovrebbe essere inteso. Un garante perfetto insomma, alla presenza del quale un tempo venivi finanziato senza alcun problema, anche se la tua azienda non fosse stata poi così performante come avrebbe dovuto. Come mai allora questa impasse? Il guaio è che mancano i banchieri di una volta, e la loro fiducia nelle persone.

«Mi bastava uno sguardo per capire l’uomo che avevo di fronte: la sua fame, la sua voglia di fare, la sua vision»,aveva detto tanti anni fa un grande americano di origine italiana. Si chiamava Amadeo Peter Giannini, e grazie a quel suo semplice concetto ha fondato dal nulla in America, nel 1904, un impero monumentale, che assumerà più tardi il nome di Bank of America, la più grande banca del mondo. Durante tutta la vita Giannini ha operato cercando di credere nelle esigenze dei più deboli, e i risultati gli hanno sempre dato ragione.


Ma cosa si potranno mai aspettare allora i delusi clienti italiani da istituti bancari non più in grado di relazionarsi col territorio e lontani mille miglia dai metodi operativi delle grandi banche americane? Molto poco in effetti, se le loro aziende verranno valutate utilizzando i concetti pre Covid-19, ancora imbrigliati purtroppo in percorsi altamente farraginosi e ostativi, dove se possiedi vieni finanziato, mentre se non hai niente, no.


Perché tanto accanimento burocratico prima di rilasciare le previste agevolazioni, quando per alcuni tipi di finanziamento c’è il totale avvallo dello Stato? Perché utilizzare i tradizionali iter di delibera per le imprese di maggiori dimensioni, quando anche per esse si va dal 60 al 90 % di garanzie statali? Care banche, dovrebbe essere proprio questo il vostro prossimo passo: l’accorciamento dei processi deliberativi. Ma non assillatevi suvvia, forse Giannini da lassù potrà inviarvi qualche lungimirante suggerimento.

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