Crozza imita Mauro Corona: «Io non l’ho visto. Mi ha maciullato?

La filosofia dello scrittore: «Vuol dire che forse conto qualcosa» .«Lui è una varechina dell’anima», lo apostrofa il ligure

GIAN PAOLO POLESINI. La clonazione televisiva è l’apoteosi della comunicazione. Se qualcuno s’infila nei tuoi stracci abituali pigliandoti bonariamente (o anche no, ma poco importa) per il sedere, è fatta. Ciò ribalta le regole di qualunque logica sociale, ma per la gloria vanno bene pure gli schiaffi. Oscar Wilde, uomo dell’Ottocento, già intuì il senso dello sberleffo postumo generando il celebre aforisma Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli. Lo hanno raccolto in tantissimi: da D’Annunzio a Berlusconi. Fate voi.

Capita che Crozza, nella puntata di venerdì del suo show sul Nove, si sia presentato agghindato da Mauro Corona con addosso i panni abituali dell’ertano: chioma libera, come lui d’altronde, schiacciata da una bandana, barba folta, giacca di velluto, foulard alla montanara. Per il ligure è una maschera nuova di zecca, quella dello scrittore pordenonese e con la velocità del suono intercettiamo il buon Mauro, con la stessa curiosità del bimbo mentre scarta il pacco di Natale.

Divertito o incazzato? Vai tu a sapere come l’ha presa. «Sono sul treno - dice subito - se cade la linea significa che sto entrando in una galleria. Crozza? Sì, sì, lo sapevo. Ma non l’ho proprio visto». Dai, su Corona. Va be’ che sei un contro corrente naturale, però questo è snobismo vero e proprio. Un fotogramma soltanto... «E non m’interessa vederlo», ci taglia le gambe. «Mi rallegra di essere entrato nella sua corte, significa comunque sostanza».

Pausa. E poi: «Mi ha macellato?» chiede facendo finta di non curarsene troppo. Si è divertito, immaginiamo, e anche noi, gli rispondiamo cercando di stimolarlo a finire immediatamente sul sito del programma per rivedersi la gag. Testi accalappiati dal reale e, quindi, rinvigoriti da una spolverata di peperoncino. Tutto sommato, per nulla irriverenti. Pan per focaccia, ecco. Nel senso: Corona spesso cammina a dieci centimetri dallo strapiombo, e così, paro paro, ha agito Crozza.

Nel prologo il genovese lo definisce «un lavatore di coscienze» e «una varechina dell’anima», vicino alla sinistra, benché sia spesso politicamente scorretto. Si sovrappongono clip rubate al vero, giusto per rafforzare i contorni del maschio scalatore, scultore, romanziere. Quindi compare il clone. (post scriptum: sarebbe meglio fissare bene la barba prima del ciak).

«Buonasera Corona», lo saluta Zalone. «Buonasera è una convenzione borghese», ribatte Crozza/Corona. «E cerchiamo di non perdere tempo per i saluti, noi montanari siamo gente semplice. Quattro bottiglie di vino a colazione, quattro a pranzo e, alla sera, un cicchetto con gli amici». Giganteggia alle loro spalle la copertina dell’ultimo libro, La vita è una sgorbia. Ecco. E cosa sarà mai la sgorbia. É uno scalpello che serve a togliere legno. Nell’oggetto ci sta la filosofia esistenziale di Mauro: sottrarre il superficiale per riassaporare il gusto scarno ed essenziale della vita.

«La verdura io la bruco dall’erba, senza orpelli, e se trovo una talpa me la mangio. Magari è una sorpresa. Ti sei mai masturbato con un guanto da forno?», incalza l’interlocutore. «Siamo schiavi delle regole. Perché non si può guidare ubriachi e salire sui marciapiedi?». Questo no, lo supplica Zalone, non si fa. Qualcuno potrebbe morire. «Vede, così si sottrae, siamo in troppi a questo mondo. Pensi che la mia automobile ha tre marce, bisogna eliminare il superfluo».

Il senso da sviscerare è: la natura va vissuta selvaggia. «Il gusto di farsi massaggiare da una pelle di montone ancora attaccata al montone o farsi un bidet con la corteccia di abete. Lei ha mai fatto l’amore con una betulla?».

Sui libri la posizione è netta: «Sono il male. Mi arrivano sul conto tutti quei bonifici, che altro non sono che una convenzione borghese». Fine dello sketch. Applausi. Dai Corona, guardalo. E facci sapere.

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