Da Civibank alle scelte della politica

Paolo Mosanghini

La scalata a Civibank, l’ultima ex popolare, sopravvissuta in Friuli, da parte della banca altoatesina Sparkasse, ha acceso uno scontro finanziario che coinvolge inevitabilmente la classe politica di questa regione.

Omettendo la trita retorica del Friuli che si vede predare degli asset più ambiti, del Friuli che perde posizioni e governance, del Friuli che diventa un’appendice del Veneto e altre letture che poco hanno a che spartire con i numeri e i bilanci che tengono insieme un sistema, la riflessione è un’altra e parte da lontano.

Abbiamo avuto per decenni, e talvolta lo si registra ancora adesso, una regione divisa a metà che non riusciva a dialogare tra il Friuli – e all’interno dello stesso Friuli tra Udine e Pordenone – e la Venezia Giulia, replicando il ritornello della solita contrapposizione.

Dall’una e dall’altra parte si stava attenti a chi custodiva il piatto più ricco, senza un’ottica di prospettiva e di unità per poter contare su una forza economica e su un peso politico considerevoli dentro e fuori i confini del Tagliamento.

Il centrosinistra adesso punta il dito contro il centrodestra, e viceversa, per le scelte compiute nei decenni che hanno spogliato il territorio. Intanto si intravedono pochissimi coraggiosi fare capolino per manifestare il no all’adesione all’Opa di Sparkasse.

C’è da chiedersi – mentre scorrono i titoli di coda – se il sistema economico e finanziario si sarebbe potuto reggere autonomamente non facendosi fagocitare dal globalismo. Ci sono percorsi e scelte imposti dall’abbrivio dell’economia più che dalla difesa della territorialità.

Un esame generale e obiettivo va orientato sulle valutazioni compiute dalla classe dirigente in casi analoghi: sono stati passi soppesati nel solco di una visione di futuro di questa regione o nell’ambito degli interessi di campanile? Indistintamente a destra, a sinistra e al centro.—

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