Da Comeglians fino a Beverly Hills: i tappeti di Silvia incantano gli Usa

COMEGLIANS. Il rumore del “trapano” riempie il suo laboratorio-atelier a Comeglians. Lo sguardo è fisso sulla tela, concentrato. Si ferma Silvia, ci vuole un altro colore per ottenere la sfumatura giusta. Cambia il filo di lana, risistema le rocche e riparte. Serve pazienza, serve precisione, serve manualità per creare un tappeto artigianale. Servono talento e passione, soprattutto.
E quella creatività che Silvia Di Piazza, 41 anni, originaria della frazione di Tualis, ha da quando frequentava l’istituto d’arte Sello. Nel 2009 arriva l’occasione. Rileva un’attività nel suo paese: c’è uno spazio di 180 metri quadrati da utilizzare per le sue creazioni.
Ci sono volute ore di studio da autodidatta per imparare al meglio la tecnica hand tufting e produrre tappeti personalizzati trasformandoli da semplici elementi d’arredo in opere d’arte. Prove, tentativi, ancora prove. Fatica. Ma Silvia è determinata.
Chiamatela passione, chiamatela tenacia («Sono carnica del resto», sorride). Uno alla volta svela tutti i segreti «di quello che possiamo definire un trapano con una macchina da cucire che funziona ad aria compressa». È una tecnica difficile ma piano piano la apprende, la fa propria. E quello strumento diventa la sua “matita” con cui crea e inventa utilizzando pregiati filati naturali. Lei, unica in Italia a utilizzarla.
Tutto nasce da un disegno – che può essere realizzato anche dal cliente – o da un’emozione, colta in un tratto di pennarello. «Il disegno – spiega Silvia – viene proiettato, poi lo ricreo a mano sulla tela che posiziono sui miei telai verticali e di grandezze diverse.
Dopo salgo sulla scala e inizio a lavorare inserendo i fili di lana attraverso il “trapano” che utilizzo seguendo il disegno e i colori previsti. In questo modo da qualsiasi immagine, anche fotografica, è possibile creare il proprio tappeto.
Questa tecnica permette di comporre creazioni uniche e personalizzate con forme, dimensioni e spessori differenti a seconda delle esigenze del cliente».
«Terminato il lavoro, viene poi posizionato uno strato di lattice in gomma naturale e infine il tappeto va tagliato e rasato per rendere la superficie uniforme» spiega. Così ogni tappeto diventa un pezzo unico, un’opera d’arte. «A seconda della grandezza o del disegno da ricreare – prosegue –, posso impiegare un giorno per realizzarlo fino a molti mesi.
I più complessi sono quelli con tante sfumature perché bisogna cambiare il filo ogni minuto. Io principalmente lavoro con pura lana, ma utilizzo anche altri materiali come il lino, la seta o la viscosa. Curo ogni dettaglio per cercare di creare qualcosa di veramente eccezionale. La cosa bella è che non hai vincoli di alcun tipo, puoi lasciare libero spazio alla fantasia».
Dietro a ogni tappeto c’è una storia da raccontare nel suo laboratorio («Ho bisogno di spazio visto che il telaio più grande che ho si allunga sette metri per cinque e mi consente di realizzare tappeti di dimensioni importanti»). Legata a chi lo commissiona, alla fase di creazione e poi alla realizzazione. Persone, idee, emozioni che si sfiorano, si incontrano e si intrecciano, come i fili che ricreano il disegno.
Le sue creazioni le richiedono e le acquistano in tutta Italia, dalla Sardegna a Reggio Calabria fino alla capitale dove ha esposto al Vittoriano in una mostra di Fausto Roma. A volte posiziona una tela e «parto come se avessi una matita e quello che viene viene.
È il momento in cui mi diverto di più. Per me i miei tappeti sono come dei quadri». Lasciandosi guidare solo dalla fantasia, da ciò che prova lì, in quell’attimo.
«Mi emoziono quando i bimbi dell’asilo o delle elementari vengono in laboratorio e creiamo un tappeto insieme, sulla base dei loro disegni, che poi viene donato alla scuola. È bello vederli all’opera, creano dei lavori straordinari».
Ogni tappeto una storia, si diceva. Come quella di “Rachele”. Ha chiamato la sua opera d’arte come la nipotina. «L’ho realizzata assieme a lei sulla base di un suo disegno che aveva fatto quando aveva cinque anni. Dodici metri quadrati di tappeto e l’abbiamo venduto a Beverly Hills, è stata una emozione fortissima».
O come il tappeto dell’amicizia. «Ogni amico che veniva a trovarmi e che non vedevo da tempo ha scritto il suo nome e insieme l’abbiamo “cucito”. Me l’hanno chiesto in tanti, ma questo no, non lo posso vendere – spiega Silvia –. Non ha un prezzo. Perché fa parte di me, perché è un pezzo di cuore». —
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