Da Zico alla birra avvelenata, 34 anni di processi e indagini
UDINE. Giancarlo Buonocore è nato a Napoli il 13 agosto 1953. scuole elementari nel quartiere Materdei, medie nella stessa zona, liceo classico Genovesi («tutte scuole pubbliche», dice con vanto), laurea in Giurisprudenza con 110 con tesi su “Il delitto di violazione della pubblica custodia di cose”.
Era il 25 luglio 1975. Dopo due anni di uditore giudiziario, nel settembre 1979 si è trasferito a Udine diventando sostituto procuratore, carica che ha sempre ricoperto alla procura del tribunale, dove nel novembre 2000 arrivava la promozione a procuratore aggiunto. Fino al 10 novembre 2008 quando cominciava la sua nuova avventura come procuratore a Tolmezzo.
Tanti omicidi (alcuni anche irrisolti) diventano suoi fascicoli. La stampa anche nazionale parla di lui ben presto quando, a inizio anni Ottanta, indaga e processa il calciatore dell’Udinese Zico per l’ipotesi di costituzione di capitali all’estero: evasione valutaria.
Anni dopo, Buonocore dirà: «È stata l’occasione in cui ho ricevuto maggiori critiche da persone che poi mi hanno stretto la mano, anzi complimentandosi per come non avevo reagito ad accuse anche veementi. Ricevetti “anonimi” che mi chiedevano cosa avrei fatto se si fosse trattato di Maradona. Volevo rispondere “La stessa cosa”: quando si giura si è convinti, non è retorica, e dopo non si può guardare in faccia nessuno. Poi per uno appassionato di calcio come me è stato doloroso, ma lo stesso positivo: ho resistito alle sirene di provvedimenti restrittivi che mi avrebbero dato popolarità internazionale, alle pressioni di ambienti che si aspettavano la misura cautelare. Zico non lo rividi più; lui in un’intervista, alla luce di altre vicende, si era reso conto che fu oggetto di un trattamento di grande equilibrio. Io non ho mai lanciato messaggi del tipo “incontriamoci” perché non mi sembrava corretto, almeno finché ero qui a Udine».
Buonocore in Friuli ha anche gestito i primi collaboratori di giustizia, occupandosi di tutto: dalle Br ai reati contro la pubblica amministrazione durante Tangentopoli, alle tante inchiesta su armi e droga. Come detto, ha risolto tanti omicidi (tra gli ultimi quello del compratore d’oro in viale XXIII Marzo), ma ce n’è uno che gli rimane particolarmente sul gozzo tra quelli irrisolti, perché lui è sempre stato convinto di avere tra le mani l’assassino: il caso dell’americano ucciso per aver bevuto una birra avvelenata con un potente topicida.
Un tipico giallo estivo che animò le cronache dal luglio 1999 in poi. Con amarezza, diverso tempo dopo, Buonocore chiedeva l’archiviazione del fascicolo nei riguardi della persona indagata: una richiesta talmente articolata da sembrare un capo d’imputazione. Ma la prova regina mancava. Ai giornalisti confidò: «Io queste cose le posso scrivere, non so voi...».
Suoi furono anche l’inchiesta e il processo all’uomo che uccise a fucilate l’amante incinta per poi gettarla in un cassonetto e farla finire triturata in una discarica. E poi il doloroso caso della madre che sventrò il figlioletto con un coltello da cucina, davanti agli occhi atterriti della sorellina. Quel giorno, da quella casa a schiera alla periferia di Udine, la faccia di Buonocore e quella degli investigatori erano emblematiche, quasi impubblicabili sul giornale.
“Movimentato” infine anche il suo percorso tolmezzino: a parte la chiusura degli uffici, per la quale a suo modo ha cercato di opporsi, ha vissuto sulla propria pelle il “tradimento” di alcuni carabinieri suoi strettissimi collaboratori, ma anche il furto del proprio computer portatile per mano di un autista della procura. Ricordi, ormai.(g.s.)
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