Dal Don a Nikolajewka l’inferno dell’Armir nelle steppe di Stalin

Un’epopea impressa nel cuore del Friuli e della sua Julia: da domani col Messaggero Veneto il primo di cinque volumi

UDINE. È una delle battaglie simbolo della campagna di Russia: Nikolajewka. Settant’anni fa, il 26 gennaio 1943, in questa landa della steppa russa, persero la vita migliaia di alpini, uccisi sotto i colpi dei soldati russi, stroncati dalle fatiche di un ripiegamento a tappe forzate, dal freddo e dalla malnutrizione.

Un’epopea impressa in maniera indelebile nella mente del popolo friulano, storicamente legato alle vicissitudini delle truppe alpine, che il Messaggero Veneto ha inteso ripercorrere per rendere onore ai tanti caduti di Nikolajewka e all’intera campagna di Russia.

Il nostro giornale, a partire da domani, proporrà infatti cinque volumi storico-fotografici (in vendida in abbinamento opzionale, a 7,80 euro ciascuno, più il prezzo del quotidiano) mai pubblicati in regione. Si tratta di testi curati da Editrice Storica e scritti da Stefano Gambarotto ed Enzo Raffaelli (i primi quattro), e da Silvia Falca, Renato Callegari, Mauro Depetroni, Paolo Plini e Carlo Vicentini (il quinto).

Un’opera che oltre a ricostruzioni storiche e militari, contiene anche testimonianze di reduci, con un intero volume, il quinto, dedicato alla ricerca dei caduti e dei dispersi, grazie alla collaborazione con il progetto Storia e memoria della campagna di Russia.
Oggi Nikolajewka, assorbita dalla cittadina di Livenka, non esiste più, ma l’eco degli scontri che vi furono combattuti nel gennaio 1943 è ancora ben vivo, specialmente in Friuli. A Nikolajewka fu spezzato l’accerchiamento con il quale i sovietici avevano serrato ciò che restava delle forze italiane in ritirata dal fronte del fiume Don. Cosa ci aveva condotto a quel punto? I volumi proposti dal Messaggero Veneto ricostruiscono – appunto – gli eventi relativi a quel fronte infernale.
Circa un anno e mezzo prima, il 22 giugno del 1941, Hitler aveva invaso l'Unione Sovietica. Mussolini era stato subito colto dalla frenesia di far entrare anche l'Italia nella tragica avventura. Il Führer avrebbe fatto volentieri a meno di lui: aveva infatti ben chiaro il triste spettacolo del nostro attacco alla Grecia e la debolezza delle armi italiane.

La partecipazione del fascismo alla crociata contro i bolscevichi, però, rappresentava un chiodo fisso per il Duce. Mussolini non voleva rassegnarsi al ruolo di subalternità ai tedeschi, al quale la debolezza militare dell’Italia lo stava condannando. Offrendo a Hitler il suo sostegno in Unione Sovietica, sperava di accreditarsi agli occhi del Führer come il primo dei suoi alleati. Così, nell'estate del 1941, il Csir (Corpo di Spedizione Italiano in Russia) partì alla volta delle sterminate steppe orientali.
L’odissea italiana sul fronte sovietico si delineò fin dal viaggio di trasferimento. Mancavano i camion per trasportare tutti i nostri soldati, tanto che gran parte di loro, una volta sbarcata dalle tradotte, dovette affrontare marce di centinaia e centinaia di chilometri per raggiungere il punto di raccolta. I tedeschi nel frattempo passavano di vittoria in vittoria.

Sembrava che nulla potesse fermarli. Agli inizi del 1942, dopo aver trascorso il primo inverno in terra sovietica, l’Armir venne rinforzata: in Russia arrivarono anche gli alpini del Monte Cervino. Ma qualcosa nel frattempo era cambiato.

L’Operazione Barbarossa, che nei piani di Hitler doveva essere soltanto una rapida incursione di conquista, si rivelò più ardua del previsto. I tedeschi erano arrivati a un passo da Mosca, ma qui i sovietici li avevano respinti. Ora era Hitler a chiedere aiuto a Mussolini, che ordinò la costituzione dell’Armir, l’8ª Armata Italiana in Russia. Nella steppa fu spedito il Corpo d’Armata Alpino con le divisioni Julia, Cuneense e Tridentina.
Alla fine, i nostri uomini sul fronte orientale furono più di 200 mila.

Su di loro, dopo la rottura del fronte del Don, calò improvvisa e devastante la marea d’acciaio dei T-34, i giganteschi carri armati sovietici, ai quali i nostri alpini non potranno opporre che i loro fucili. Cominciò così la grande ritirata di Russia, una catastrofica avventura che culminò nella tragedia di Nikolajewka, dove le penne nere della Tridentina ruppero eroicamente l’accerchiamento sovietico, trascinando fuori della sacca la massa degli sbandati che si era gettata all’assalto dietro di loro.

La via di casa era stata aperta. Solo una minoranza dei nostri soldati, però, riuscì a tornare a casa. Viva.
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