Dal Duomo alle Grazie: le 116 campane e le 33 torri di Udine

A Udine ci sono 33 campanili e, in tutto, sorreggono 116 campane. Il primato con ben 5 a disposizione spetta a basilica delle Grazie e duomo. Le più recenti risalgono al 2009 e sono quelle in cima alla moderna torre costruita accanto alla chiesa del Gesù Buon Pastore, in via Riccardo Di Giusto, che è anche l’ultima fra le parrocchie cittadine a essere nata. Va anche detto che è difficile trovare campane di una certa antichità per il fatto che quasi tutte vennero requisite dagli austriaci dopo Caporetto quando il Friuli fu occupato e il metallo utilizzato per i cannoni.
Si salvarono così solamente le più piccole o appartate, per cui il primato storico in città ora spetta a quella posta nel mini campanile che appare sopra il palazzo del Monte di Pietà in via Mercatovecchio: risale al 1616 e ha il marchio della fonderia veneziana dei Calderari. Poi ce n’è un’altra, piccolina: non ha a sua disposizione un campanile intero ed è sistemata in un’apertura sopra la chiesa di Sant’Antonio Abate, ricostruita in stile barocco a metà Settecento accanto al palazzo arcivescovile. Ma non ci sono solamente campane e campanelle a uso religioso e gli udinesi se ne sono accorti giorni fa quando dal cielo è caduto il batacchio della torre dell’arengo, fatta mettere dall’architetto D’Aronco sul palazzo municipale.
Queste notizie, e tantissime altre, in grado di narrare una storia sorprendente e molto curiosa, sono fornite in un libro che si propone come un esempio di ricerca e passione: è stato presentato venerdì nell’oratorio della Purità, fra gli affreschi firmati dai Tiepolo, padre e figlio. Ed è la terza puntata di una collana destinata a raccontare le caratteristiche e a censire tutti i campanili del Friuli (solamente nella nostra diocesi sono circa 1200). I primi due numeri hanno riguardato il Cividalese e la zona dell’Alto Pordenonese mentre il nuovo volume si sofferma, con 300 pagine affollate di schede, immagini e dati, su campane e campanili di Udine e del suo territorio comprendendo così i dintorni da Buttrio a Martignacco, da Tavagnacco a Pozzuolo.
L’iniziativa, sostenuta dalla Regione e dall’arcidiocesi, è a cura di quell’eccezionale gruppo che forma l’Associazione scampanotadors furlans Chino Ermacora, presieduto da Renato Miotti e costituito nel 2001 a Zuglio, in località Polse di Cougnes, all’ombra dell’antica pieve di San Pietro, dove si decise di andare in controtendenza e di riproporre una tradizione, appunto lo scampanio manuale, ormai spento dall’elettrificazione, come esigenza musicale, religiosa e anche sociale.
Sembrava una scommessa assurda, già persa, e invece ha funzionato catturando l’attenzione di molti giovani, che sono poi quelli che agili salgono sulle torri per censire, una a una, ogni campana friulana attraverso i dati incisi sui metalli e la collaborazione fornita da parroci e “muinis”. «Tutto questo – dice l’arcivescovo Andrea Bruno Mazzocato – può sembrare vano nell’era della tecnologia e invece il servizio del campanaro appare prezioso per riscoprire la dinamica essenziale della festa come tempo di libertà e gioia, di gratuità e vita riconciliata».
«Ciò accade perché – spiega l’architetto Massimo Bortolotti – i campanili, da quando sono nati, più di un millennio fa, possono far identificare la comunità di appartenenza, in senso cristiano e anche civile. La sua visibilità corrisponde al territorio comunitario, che è lo spazio del noto, del quotidiano. Se la campana scandisce il tempo, il campanile definisce il luogo. Può accadere che questo diventi pure segno di riscatto, quasi di rivincita di un quartiere, come è accaduto in via Di Giusto dove la costruzione del campanile del Buon Pastore sembra testimoniarlo. Adesso quella torre moderna, con i suoi 52 metri, è anche la più alta di Udine superando quelle del Redentore in via Mantica e del Cristo in via Marsala, che si fermano a 49».
Va detto pure che il campanile del duomo è un passetto sotto, quindi arriva a 48 metri, e ha una storia molto tribolata in quanto nei secoli più volte si è cercato di dargli dimensioni più rispettabili: gli udinesi nel Quattrocento sognavano di portarlo alla stessa altezza del campanile in castello. Alla sua sommità sarebbe stata collocata una Madonnina che, dialogando con l’angelo dorato di fronte, avrebbe proposto il tema cristiano dell’Annunciazione, ma il progetto era troppo ardito poiché la costruzione accanto alla cattedrale era un tempo un battistero e realizzarvi sopra una torre da 100 metri non fu possibile. L’ultimo a tentare e a dover gettare la spugna è stato negli anni Cinquanta l’architetto Giacomo Della Mea e il sogno, come molti altri in questa città, è ora chiuso nel cassetto.
Di tutto questo, prendendo spunto dal libro, hanno parlato alla Purità monsignor Guido Genero, monsignor Luciano Nobile, il consigliere regionale Enio Agnola (a nome dell’assessore Torrenti), il cavalier Miotti, l’architetto Bortolotti, il giornalista Armando Mucchino, che ha coordinato la pubblicazione arricchendola di preziose notizie. Gianmarco Pitton ha invece spiegato come si è svolto il censimento fra una arrampicata e l’altra e consultando gli archivi parrocchiali mentre Maurizio Bertazzolo ha offerto una panoramica inedita sulle fonderie udinesi, fra le migliori d’Italia nella costruzione delle campane. Attività che ebbe impulso dopo la Grande Guerra quando bisognò ridare voce a tutti i campanili, derubati dagli austriaci.
Le dinastie principali furono i Broili, i Colbachini, i Serafini, i De Poli. Le officine si trovavano in Borgo Gemona, in Chiavris, in Baldasseria, vicino alla stazione per favorire le spedizioni dei prodotti. Da ricordare Francesco Broili che nel 1919 fuse il grandioso concerto di cinque campane per il duomo. Invece al 1961 risale il capolavoro finale per la fabbrica De Poli, ma l’ultimo costruttore è stato Alfonso Clocchiatti, il cui figlio Ottone rifuse molte campane danneggiate nel terremoto del ’76.
L’attività finì nel 2001 chiudendo così seicento anni di storia dell’arte campanaria udinese, a lungo gloriosa e ora del tutto dimenticata. Per questo merita sfogliare il libro e ascoltare con attenzione la voce di questi curiosi oggetti, strumenti musicali fatti per il 78% di rame e il 22% di stagno. Dentro hanno un’anima, anche se in giro c’è sempre chi vuol mettere loro il silenziatore.
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