Dal privato al controllo pubblico: l'incapacità di cambiare di Insiel

Nata nel 1974, fino al 2004 chiudeva i bilanci con utili da oltre 4 milioni. Poi Illy decise l’operazione in house. Tredici cambi al vertice in 15 anni non sono serviti a risolvere i problemi di una società con 650 dipendenti 

UDINE. Settembre 2012, la Regione, allora governata dal centrodestra, affida a Insiel la predisposizione di un’applicazione – chiamata “Oraclea Express” – attraverso la quale gestire la presentazione online delle domande di contributo per progetti di ricerca e innovazione delle aziende friulane.

Bando serio, corposo, perché consentiva alle imprese di ottenere fino al 35% a fondo perduto per iniziative superiori al milione di euro. Peccato che in quella giornata di inizio autunno, quando si apre il deposito digitale delle richieste guarda un po’ a click-day, la rete collassi, il sistema vada in crash e mandi in fumo le speranze di decine di aziende di ottenere i soldi.

Click day caos: migliaia di aziende in cerca di contributi fanno domanda e Insiel va in tilt


Da quella mattina di settembre sono trascorsi otto anni fino ad arrivare a un altro blocco clamoroso – fortunatamente soltanto temporaneo – e legato sempre all’ottenimento di contributi a fondo perduto. Otto anni in cui Insiel è finita nell’occhio del ciclone dozzine di volte, attaccata da destra a sinistra, a seconda di chi in quel momento sedeva all’opposizione, salvo poi restare immutabile, o quasi, e uguale a se stessa.

Perché poi, ma qui i nastri della memoria vanno riavvolti almeno fino ai tempi di Riccardo Illy, chi vinceva di volta in volta le elezioni si è trovato in mano un Moloch, formato da centinaia di dipendenti fortemente sindacalizzati. E stretto tra esigenze di carattere elettorale – leggasi voti – e oggettivi problemi di mercato – nel dettaglio un’azienda con poco appeal tra i privati – chi governava ha di fatto vestito i panni di Tomasi di Lampedusa. Ha cambiato tutto, cioè 13 governance in 15 anni, perché alla fine tutto rimanesse com’era.



Storia particolare, quella di Insiel, che nasce a Trieste nel 1974 e che fino al 2005, anno in cui Illy rileva il 51% in mano a Finsiel di Marco Tronchetti Provera è stata in grado di muoversi sullo scenario nazionale con sagacia. Capace di rispondere alle necessità di informatizzazione e digitalizzazione della pubblica amministrazione in Friuli Venezia Giulia, ma anche di concorrere sul libero mercato con prodotti dedicati agli enti locali.

Al punto da arrivare, nel 2004, a fornire applicativi a ben mille 200 Municipi del Paese, nessuna regione esclusa, e a chiudere quell’ultimo bilancio “privato” – targato Sergio Brischi che completerà temporaneamente la sua avventura trentennale in società – a quota 92 milioni e 400 mila euro di ricavi con un utile netto di 4 milioni 600 mila. Insiel è figlia del 1972, quando Alfredo Berzanti istituisce il sistema informativo elettronico regionale, il Sier, primo progetto in Italia a essere varato da un’amministrazione locale per l’informatizzazione. Affidato alla romana Italsiel (proprietà Iri), il progetto è diretto proprio da Brischi.

La portata dell’operazione porta a realizzare una start-up e così, due anni, dopo nasce Insiel, anche se originariamente viene chiamata Informatica Friuli Venezia Giulia. La Regione, all’epoca, resta alla finestra entrando soltanto tre anni dopo con 100 milioni di lire sui 500 totali di capitale sociale.

La vera svolta, in ogni caso, arriva negli anni ’80 grazie all’alleanza con Olivetti capace di portare la società – che da questo momento si chiamerà Insiel – a vendere i propri applicativi a centinaia di Comuni italiani. Passano le stagioni politiche, Insiel cresce fino a superare quota 800 dipendenti, ma poi arriva il 2005 e il decreto Bersani che vieta alle società pubbliche di operare sul mercato e la chiude all’interno dei confini del Friuli Venezia Giulia. Sono gli anni di Riccardo Illy e di un bilancio regionale molto più florido di oggi. L’allora governatore ha due strade davanti a sé: provare a privatizzare subito oppure tenersi in “pancia” tutta la società.

Sceglie la seconda strada, liquida Tronchetti Provera, ma si scontra immediatamente con una realtà problematica. Anche da un punto di vista sindacale, come dimostra il comunicato delle Rsu del 2007. Quando Illy, infatti, prima prova (inutilmente) a quotare la società in Borsa e poi, altrettanto inutilmente, cerca di vendere per due volte il 49% della società per un valore di 87 milioni, non trova come ostacolo soltanto un mercato refrattario, ma pure, come detto, i sindacati.

«Le altre 15 Regioni interessate dall’articolo 13 del decreto Bersani – recita, per capirci, un comunicato delle Rsu di 13 anni fa – hanno optato per il mantenimento pubblico delle loro aziende. Soltanto il Friuli Venezia Giulia ha deciso, contrariamente a ogni logica industriale, di sacrificare la propria azienda informatica, in nome della liberalizzazione del mercato. Ma questa vendita, così come la si sta facendo, non vuol dire liberalizzazione, ma monopolio di tipo privato».

Logica industriale che, comunque, non si vede perché Insiel, in un mondo che corre veloce, si dimostra spesso non all’altezza delle sfide che deve affrontare. In piazza Unità, intanto, arriva Renzo Tondo che piazza al vertice Valter Santarossa. La giunta opta per la spacchettatura della società e l’ex governatore riesce, quantomeno, a liberare il pubblico dal controllo di Insiel Mercato per quanto secondo i maligni rinunci alla parte più redditizia.

Anche in questo caso Tondo deve far fronte alla linea Maginot dei sindacati – all’epoca intervenne perfino il segretario generale della Cisl Giovanni Fania per augurarsi che Insiel non diventasse «una nuova Alitalia» –, ma alla fine porta a casa il risultato. Insiel Mercato passa di mano per 13 milioni e 500 mila euro e la Regione si “libera” di 133 dipendenti, anche se 26 di loro faranno poi ricorso e lo vinceranno in epoca Serracchiani.

Nella passata legislatura, quindi, nei pochi mesi di Lorenzo Pozza alla presidenza si decide che Insiel si occuperà soltanto di servizi e non più di software (con ennesimo attacco delle Rsu), poi Simone Puksic prova a “svecchiare” l’azienda, ma in Insiel a fronte dei pensionamenti arrivano comunque 30 nuovi dipendenti nel triennio 2014-2017 e si arriva agli anni di Massimiliano Fedriga.

Puksic resiste un anno allo spoils system, poi tocca a Diego Antonini. La giunta rinuncia al direttore generale, e risparmia 150 mila euro annui, e in un biennio riduce di 30 unità (oggi sono poco più di 650, nel 2018 erano 686 nel 2013 ben 728) il totale dei dipendenti per quanto il costo del lavoro resti ancora pesante (38 milioni 200 mila euro a Bilancio 2018) con una spesa complessiva per la Regione – dati della Corte dei conti 2017 – di 97 milioni e 600 mila euro. Il tutto senza risolvere i soliti problemi.

E con nemmeno tutti i Comuni del Friuli Venezia Giulia che si affidano a Insiel e i server che si bloccano in continuazione circola la solita domanda cui nessuno ha mai risposto davvero: che senso ha mantenere, nel 2020, una struttura come Insiel invece di rivolgersi al mercato e alla riduzione dei prezzi che garantisce in un mondo, sempre più low cost, come quello dei programmi informatici?

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