Dal tiglio di Napoleone al grande abete bianco: viaggio tra i giganti custodi di un sapere antico

La foresta tarvisiana è la più grande d’Italia: un esempio della perfetta convivenza instaurata nel tempo tra la natura e l’uomo 

La foresta “protetta” più grande d’Italia, 24.000 ettari quasi 170 km di perimetro, da Pontebba fino a Tarvisio: Una foresta “Millenaria”, paragonabile come storia alle foreste Casentinesi o a quella ancor più famosa di Vallombrosa in Toscana, dove solo 4 anni addietro abbiamo scoperto l’albero più alto del nostro Paese.

Quando parliamo di “Foresta Millenaria”, spesso immaginiamo le enormi distese vergini equatoriali, impenetrabili e piene di animali e di pericoli.

In realtà in Europa non esistono più foreste vergini (cioè dove l’uomo vive esattamente come tutti gli altri esseri del bosco, in perfetto equilibrio e senza la capacità e la volontà di modificarlo), ma sono presenti solo poche foreste primarie, cioè dove l’uomo non ha un impatto importante da oltre 300 anni.

In Italia si può parlare tutt’al più di foreste “Vetuste” cioè dove da oltre 60-70 anni l’uomo ha deciso di non intervenire con tagli e prelievi lasciando evolversi il bosco in maniera naturale. In Friuli abbiamo pochi ambiti che possono assurgere a questo titolo: il “Bosc dal Diaul”, sopra Ampezzo e il “Bosc dal Peceit” nel Comune di Moggio Udinese ne sono due esempi.

Tutte le restanti foreste sono tutte gestite senza soluzione di continuità dall’essere umano da molti secoli. La foresta millenaria di Tarvisio è sicuramente un esempio di superficie boscata gestita in maniera ottimale da oltre un millennio, cioè, in tutto questo lasso di tempo, l’uomo ha saputo convivere con la foresta in un’ottica rispettosa, prelevando solo il legname prodotto “in più” dal bosco, senza depauperarlo e senza alterarne in maniera drastica gli equilibri. In gergo forestale si parla di selvicoltura naturalistica, una gestione ecosostenibile del sistema foresta dove rinnovazione naturale, biodiversità, sostenibilità, multifunzionalità del bosco e utilizzo di specie autoctone costituiscono il fulcro del sistema di “governance” del bosco stesso.

Questa gestione presuppone evidentemente un’eccellente conoscenza delle caratteristiche della foresta e dei diversi boschi e ambienti che la compongono. Dovremmo quindi chiederci cosa vuol dire realmente foresta.

Tra Pontebba e Tarvisio ci sono paesi, laghi, montagne, boschi, ghiaioni, strade, edifici, animali, uomini che vivono, costruiscono e producono.

In realtà, c’è tutto questo e tanti, tantissimi alberi che nell’arco di un millennio sono cresciuti e hanno imparato a convivere con l’Homo faber. Non c’è un solo metro quadrato di quei boschi che non sia stato prima o poi percorso dall’uomo nel corso degli ultimi secoli.

La foresta millenaria non è quindi una foresta vergine ma una serie di boschi dove l’uomo e gli alberi hanno trovato una forma di convivenza pacifica e conveniente per entrambi. Dai boschi della foresta di Tarvisio l’uomo continua a ricavare il legno per le sue opere di costruzione, per i suoi mobili, per le sue case, per i suoi strumenti musicali e gli alberi gli regalano, come sovrappiù, bellezza, ossigeno, tranquillità, protezione, acqua, suolo, ambiente, ricevendo in cambio protezione cura, gestione.

E lo stesso si può dire anche per tutti gli animali, grandi e piccoli, che in questi boschi vivono.

L’ecosistema che si è formato è quindi un ecosistema umano-forestale, con rapporti tra specie diverse assolutamente differenti da quelli che si sarebbero stabiliti in natura, se lasciati alla loro libera evoluzione. L’opera dell’uomo ha modificato il paesaggio, il bosco, i fiumi, le montagne, in un lento ma rispettoso rapporto con la natura.

La foresta millenaria di Tarvisio è così diventata custode di un sapere antico, di una conoscenza tra uomini, alberi, territorio e ambiente, che ha permesso di costruire, oltre che un ecosistema nuovo e in discreto equilibrio anche un territorio che dal punto di vista paesaggistico lascia certamente senza parole.

Chi ama gli alberi come me, può avere anche la fortuna di incontrare i veri giganti di queste vallate, infatti tra specie arboree diverse e speciali ci sono molti esemplari monumentali che l’uomo ha voluto, spesso intenzionalmente, preservare per i posteri.

Chi percorre in bici la ciclovia Alpe Adria non deve perdere l’occasione di una visita al grande tiglio di Palazzo Veneziano a Malborghetto: un grosso tumore di origine batterica ha tramutato il suo fusto in una grossa botte, ampliandone a dismisura la circonferenza, tanto da farlo rientrare tra i tigli più grossi della regione. Ma splendido è l’intreccio dei grandi fusti di un altro tiglio, quello di Napoleone, dove la tradizione popolare vuole che l’imperatore si sia seduto ad ammirare le sue truppe mentre tornavano vittoriose dopo aver sconfitto l’esercito prussiano. Nello stesso paese, Rutte Piccolo, due grossi olmi ancora rimangono a testimonianza del vigore di questo nobile legno, devastato da un parassita fungino importato in Italia nel dopoguerra. Spettacolare e unico trovo sia anche il doppio viale di cinquanta peri selvatici che adorna via della stazione a Camporosso. Ognuno di questi alberi, alti mediamente quasi venti metri, porta incisi nel suo fusto, gli anni passati e le traversie che ha dovuto subire.

E che dire del grande abete bianco, re incontrastato delle cime del Monte Guarda sopra Cave del Predil? Da solo sicuramente vale un’escursione di un paio d’ore, adatta a bravi escursionisti. Ma anche il grande larice di malga Lussari, a soli quindici minuti di camminata dallo splendido borgo alpino, riserva un’emozione unica. Potrebbe essere tra i più vecchi della regione, col suo fusto storto a formare un imperioso bastione e i suoi rami nodosi nascosti da enormi filamenti di licheni. In autunno si colora di giallo oro e in primavera il suo verde riluce chiaro tra la neve e il verde scuro degli abeti rossi, altri imponenti giganti che gli fanno cornice e a volte regalano il legno con cui costruire i violini. Non possiamo comunque non onorare un altro splendido esemplare, quasi all’estremo confine della foresta millenaria, l’acero di monte dei prati di Oman. Non scordate di andare a salutarlo perché la sua imponenza regala stupore e al contempo rivela come un singolo albero vetusto possa nascondere in sè milioni di altri esseri viventi e sia essenziale alla sopravvivenza dell’intera foresta. —


 

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