Damiano Damiani, il regista friulano che dedicò la vita alla passione civile

Aveva 90 anni ed era nato a Pasiano di Pordenone. Iniziò dal Neorealismo e proseguì nella denuncia. Tra i suoi film cult “Quien Sabe?”, “Il giorno della civetta” e l’indimenticata serie tv “La Piovra”

UDINE. C’era gente che girava senza paura. Scriveva e inquadrava, incurante di ritorni di fiamma o di probabile fuoco nemico e tanto più amico. Si scherzava poco nei Settanta e - paradosso dei paradossi - l’osare era frequente. Ora, negli anni della follia pacifica, si fa al massimo satira. I coraggiosi s’infilano la mascherina e ci vanno giù di battuta. Gli arditi nostri qui si fermano. Bella forza. Ci tocca vivere di memoria, nell’attesa del ritorno dell’eroe.

L’addio al novantenne Damiano Damiani, il regista pordenonese (nasce nel luglio del ’22 a Pasiano) della passione civile, acuisce il senso di perdita di quel mondo che lui assieme ad altri - Francesco Rosi ed Elio Petri su tutti - creò per stabilire un distacco dal marciume in eccesso. Adesso inaliamo altre puzze, mica ce ne siamo liberati, ma nessuno è pronto a spalancare le finestre per cambiare aria.

No, preferiamo le commedie intimistiche, tonnellate di bufere familiari, coppie dilaniante, figli abbandonati, qualche gay perso, qualche gay ritrovato, quelli in coma che ce la fanno, quelli in coma che ci restano, i depressi, gli equilibristi, gli esodati, i disoccupati.

Quei bei film di denuncia non si fanno più? Se non ci pensano gli americani a ricordarci che la mafia non si è ancora mossa da qui, a parte il lampo di Gomorra (ma quella era camorra) guai a dare cattivi esempi, attenzione. Il giorno della civetta, dal romanzo di Sciascia, ha impresso una data lontana, 1968.

Brutta storia di connivenza mafia-politica, ci scappa il morto, eppure c’è chi ci vuol vedere chiaro. Un capitano dei carabinieri ha tutta l’intenzione di far risuonare il peso della legge. Adesso fanno le fiction con le love story fra i poliziotti e le criminali in fuga. Lui fece la Piovra. Comunque.

Damiani ci prova prima con la pittura. E poco più che ventenne s’iscrive all’Accademia di Brera. Un amore a tempo; lo step successivo sarà romano, in zona Cinecittà. E si fa le ossa con la penna e le risme di carta bianca da riempire. Il primo affaccio è sul cinema neorealista. Il piglio c’è e Damiano frequenta la gente giusta: Comencini, Lattuada, Olmi.

Già dal lungometraggio d’esordio, Il rossetto, almeno quello segnato dalla sua impronta indelebile, s’intuisce la caratura dell’uomo di cinema, per nulla intimorito a sviscerare certe storie scomode. La ragazzina che s’innamora del trentenne Gino, non ricambiata.

La dodicenne, però, lo vede uscire dalla casa dove è stato compiuto un omicidio. Il commissario è interpretato da Pietro Germi. I Sessanta stanno dalla parte sua: critica e botteghino non lesinano applausi e incassi e le quotazioni salgono. I grandi Zavattini e Guerra lo pigliano sottobraccio offrendogli idee per L’isola di Arturo della Morante e Noia di Moravia.

Per far capire di non essere attaccato al genere, Damiani sforna uno spaghetti western, Quien Sabe?, spinto nel messico rivoluzionario, un action sociopolitico reso cultmovie anche da Volontè e Kinski. Si capisce forte e chiaro qual è il recinto d’azione. Mettere in piazza certe sporcizie. La vicenda del fotografo romano Girolimoni, arrestato negli anni Venti come assassino di bambine (Mussolini ordinò bocche cucite) divenne un film nel 1972 con protagonista Nino Manfredi. Il pubblico lo seguì e fu un boom d’incassi per il cosidetto cinema d’impegno.

I tentacoli mafiosi cominciano ad avvinghiare la televisione nel 1984 e sarà ancora Damiani a dare un senso cinematografico allo sceneggiato La Pio vra, un’escalation della criminalità organizzata, dai traffici locali del debutto fino alla morte del commissario Cattani, vent’anni dopo. E Michele Placido non nasconde la possibilità di rimettere in moto il meccanismo. «La Piovra fu qualcosa di inaspettato - ricorda l’attore - anche per Damiani, figuriamoci per me. Gli dissi di voler fare il detective della porta accanto e così mi rese famoso nel mondo».

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