Dandolo, militare morto a 22 anni I familiari: «Ci negano la verità»
MANIAGO. Il postino ha suonato l’altra mattina nella casa dei Garofolo, a vent’anni esatti dalla morte di Alessandro. Ora è ufficiale, scritto nero su bianco nella lettera che il fratello Massimiliano non si stanca di rileggere: per il ministero della Difesa la morte di Alessandro, ucciso a ventidue anni dal morbo di Hodgkin, non ha nulla a che fare con l’uranio impoverito con cui entrò in contatto durante la leva a Maniago, dove c’era il poligono di tiro di Dandolo.
Il comitato di verifica, scrive il ministero, sostiene che non c’è nesso tra la malattia che portò alla morte di Alessandro ed il contatto con l’uranio, come da vent’anni sospettano i familiari. «Ci negano la verità e i risarcimenti del decreto 37 del presidente della Repubblica» dice il fratello, che ricorda che due anni fa la vicenda sembrava risolta, perché nel decreto era scritto che aveva diritto al risarcimento chiunque avesse avuto patologie legate all’uranio impoverito con cui era entrato in contatto: «Hanno pensato bene, in seguito, di cambiare due parole, mettendo “in teatro bellico”. Mio fratello era in una base in Italia, quindi viene negata la causa di servizio».
«È ancora possibile fare un ricorso – spiega Massimiliano – ma siamo stanchi di combattere a vuoto». In casa a Porto Mantovano padre e figlio conservano le interrogazioni parlamentari, le lettere a tutti gli organi istituzionali, gli articoli dei giornali e i contatti con le tv: «Il poligono di Dandolo, come aveva illustrato il parlamentare Eduard Ballaman, prima della guerra del Golfo, fu effettuata un’intensa attività di esercitazioni, anche con aerei A-10 che usavano munizioni ad uranio impoverito».Il giovane, si era ammalato pochi mesi dopo il congedo. Dopo un calvario di terapie e ricoveri, morì il 25 marzo del 1993: aveva 22 anni. I dubbi dei familiari sono nati all'inizio del 2001 dopo l'esplosione del caso dei proiettili all'uranio impoverito usati dalle forze Nato nel '95 in Bosnia. Le autorità militari hanno sempre negato l’uso, il transito e lo stivaggio di queste munizioni sul territorio italiano, ma i familiari non si sono mai arresi.
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