De Gregori: «Stelutis Alpinis? Chissà, forse la canto»

Intervista al cantante, domani in scena  a Pordenone, al deposito Giordani. «Bella la musica di Zardini, la mia è una libera versione».

PORDENONE. Francesco De Gregori ha scelto il Deposito Giordani (domani alle 21) per l'ultimo incontro italiano del suo tour autunnale, che dagli inizi di ottobre lo vede impegnato in club, pub e piccoli palchi. Davanti a poche centinaia di persone, così da poter recuperare un rapporto più diretto con il pubblico. «Ogni tanto bisogna cambiare registro e questi locali sono benedetti – ci svela in questa intervista esclusiva – perché in un posto piccolo la stessa gente che trovi allo stadio assume una valenza nuova, ha comportamenti e calori differenti. Ascolta in maniera più coinvolta e restituisce molto anche a chi è sul palco. A Pordenone ci potremo guardare bene in faccia e interagire».

– Il Friuli, e Pordenone in particolare (terra di Pasolini), rappresentano molto per lei, vero?

«Sono molto legato a tutto ciò che Pasolini ha fatto e la mia dedica a lui, nella canzone A Pa’, è stata spontanea e molto sentita».

– E poi c'è la storia, che la lega alle nostre montagne friulane: lo zio partigiano caduto a Porzûs, per esempio...

«Si chiamava Francesco De Gregori, come me. Era nato a Roma ed è morto in Friuli, durante la seconda guerra mondiale, massacrato. Non dai nazifascisti, bensì da una lotta intestina tra i vari gruppi partigiani».

– È a lui che ha dedicato la sua bella riproposta di Stelutis Alpinis ?

«Quella di Arturo Zardini è una musica bellissima, senza tempo, che travalica i confini. Mi ero posto il dubbio se lasciarla in friulano (che però non avrei saputo pronunciare correttamente) oppure riproporla – con massimo affetto, rispetto e devozione – nella lingua che maggiormente utilizzo. Poi ho capito che qualsiasi traduzione letterale avrebbe fatto perdere quel suono bellissimo e dolce della lingua friulana, e ho optato per un testo in italiano liberamente ispirato, che però non tradisce lo spirito originale. Spero che i friulani non me ne vogliano...».

– Scherza? È stato un vero onore per tutti ascoltare Stelutis Alpinis in un suo album. La eseguirà anche domani sera?

«In realtà non è in scaletta. Ma mi sta facendo venire voglia di riprovarla con la band. Vedremo... chissà?!».

– A volte lei sente il desiderio di ristrutturare le sue canzoni, modificando arrangiamenti e tempi, talvolta anche le melodie del canto. Avviene maggiormente per i brani che più appartengono alla gente o indifferentemente?

«Indifferentemente. Ma non è una cosa che piloto io, è la canzone stessa che ne ha necessità: la musica è una cosa viva e la tessitura di un brano cambia dal tempo in cui è stato registrato al successivo momento dell'esecuzione. So bene che la gente si affeziona a quella “fissità” che il disco ha generato, ma quello era la fotografia di quel giorno preciso. I lineamenti delle persone cambiano nel tempo e io, che ho avuto la possibilità di scrivere le canzoni, godo anche del privilegio di farle cambiare, se è la musica stessa a richiederlo».

– La chiamano il “principe” dei cantautori, sia per il portamento raffinato, sia per la cultura che il suo scrivere emana. Che lettura mi consiglierebbe?

«Dicono che la cultura sia fatta di scelte individuali. Io leggo molto, ma di solito mi affeziono all'ultimo libro, se mi è piaciuto. Stamattina, per esempio, in un paio d'ore ho divorato l'ultimo romanzo di Giorgio Faletti. Se le piace il genere, glielo consiglio».

Domani sera De Gregori avrà con sé sul palco Stefano Parenti (batteria), Alessandro Arianti (pianoforte), Alessandro Valle (pedal steel guitar e chitarra), Lucio Bardi e Paolo Giovenchi (chitarre), Elena Cirillo (violino e voce) e naturalmente Guido Guglielminetti (basso), capobanda storico. Perché... «è la gente che fa la storia».

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