De Piscopo e la leva da bersagliere in città «Che vita, all’Ottavo»
L’omaggio a Imelio, la trasferta a Edimburgo, la fidanzata Confessioni alla vigilia del concerto di domani sera al Verdi

Rullo di tamburi e sipario che finalmente si inizia ad aprire sul concerto al teatro Verdi di Pordenone domani alle 21 perché sta arrivando lui, Tullio De Piscopo, il re delle percussioni, con la sua band, ad animare la vigilia della sfilata del raduno interregionale dei bersaglieri e una sfida all’ultima nota che lancerà sul palco alla Fanfara bersaglieri “Scattini” di Bergamo. Un ritorno quello del musicista partenopeo sui luoghi della giovinezza quanto, ventenne, passò il periodo di leva del 1966-67 nell’8° reggimento bersaglieri di Pordenone (ora a Caserta). Che non ha mai dimenticato. Ce ne parla ed esordisce così, tra il divertito e una punta di nostalgia, scandendo le parole, come al ritmo della sua batteria.
De Piscopo, cosa ricorda di quel periodo?
«Quattordici mesi, a quell’età, sembra non passino mai. Ma, meno male per me, che potei entrare nella fanfara e quindi continuare a suonare, la mia passione. Fu il grandissimo capo fanfara, maresciallo Luigi Imelio, a consegnarmi il bassotuba, strumento che avevo scelto, dicendomi “È questo il cuore della fanfara e tu con il c-u-o-r-e devi suonarlo! ” Grazie a lui potei continuare a studiare musica poiché mi accordò il permesso di portare la batteria da Napoli. Mica era come adesso che c’è Youtube, il computer, i cd. Allora c’erano solo le nostre orecchie e pochi soldi per comperare libri e dischi. Non potevo stare fermo... Quando tutti andavano in libera uscita, io mi mettevo a suonare dietro la camerata e studiavo la tecnica avanzata di batteria moderna. Ero un privilegiato!».
E con la fanfara dei bersaglieri, cosa faceva?
«Mentre i miei commilitoni la domenica andavano in libera uscita a Sacile e Vittorio Veneto, noi della fanfara andavamo invece a suonare dappertutto dove arrivavano i generali, anche quelli da fuori: era il nostro “Welcome to Italy! ”. Come si fa a dimenticare quel periodo? ».
Ma in caserma, com’era la vita?
«Ho ancora impresso il cartello sul passo carraio della caserma dell’8º reggimento: “Automezzi al passo, bersaglieri di corsa!”. Ma tutto era di corsa. Persino se attraversavi piazzale per andare allo spaccio: se un superiore si affacciava alla finestra e ti vedeva, si metteva a urlare “Bersagliere! Di corsaaa!” (e si fa una risata di cuore). Ma che bei momenti ho passato! Con la fanfara giravamo il mondo. Mi ricordo bene i quindici giorni del festival Tattoo al Castello di Edimburgo, in Scozia, che fanno ancora. Un’esperienza bellissima! Siamo partiti da Aviano con l’apparecchio dei paracadutisti, scesi a Lione per cambiare l’aereo per Edimburgo. Lo Stato ci aveva pagato le scarpe nuove, ma erano così strette che feci infezione e mi dovettero ricoverare all’ospedale militare quattro giorni, accanto ai feriti da arma da fuoco! (E scoppia in un’altra risata) Pensare che lì avevo persino trovato la fidanzata!».
Ma come si fa a trovare la fidanzata in soli quindici giorni, di cui quattro in ospedale?
«Certo! Perché il bersagliere è veloce, sempre di corsa. Era una bella ragazza, ero stato perfino a casa sua, i suoi stavano bene. La sera che mi accompagnarono in caserma con la Jaguar mi vide il capitano, che mi consegnò. Intervenne allora il maresciallo Imelio, che mi risparmiò il tutto. Poi lei venne in Italia con i genitori, voleva che mi trasferissi in Scozia. Ma avevo la mia storia da sviluppare, la mia strada. Finì lì».
E con i commilitoni, aveva stretto amicizie, ricorda qualcuno?
«Come no! Qualche volta uscivo la sera, per andare a mangiare “All’Antico Cervo” della pastasciutta, una bistecca, un po’di vino. Io potevo permetterlo, ma c’erano altri che no, non potevano, e un paio li portavo sempre con me. Pensare che c’era chi prendeva la decade, 1. 500 lire ogni dieci giorni – pochi soldi – ma erano talmente poveri che li mandavano a casa. Più di qualche volta avevo fatto la delega perché dessero la mia decade a loro. Non ne avevo bisogno, avevo guadagnato prima di partire: in 14 mesi spesi un milione di lire».
Adesso c’è questo concertone domani al teatro Verdi
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«Mi ricordo che quella volta era un cinema. Io ci sono stato là, nel 1967, a vedere Rocky Roberts. Al basso elettrico c’era Wess. Pensare che anni dopo ci suonai con lui, quando fece il duo con Dori Ghezzi. Comunque sabato ci sarà una scaletta con brani di successo, blues, degli assolo e suonerò con la fanfara Scattini dei pezzi con la batteria. Sarà una bella serata».
Emozionato?
«Come no! È un ritorno a Pordenone, non c’è più l’ “Antico Cervo”, ma saranno forti emozioni ora come allora. Ho voglia di incontrare Giancarlo Imelio, figlio del grande maresciallo. Quando quest’ultimo andò in pensione, il posto di capo fanfara lo prese il figlio che era anche maestro di pianoforte. Non vedo l’ora di incontrare lui, i tanti commilitoni dal profondo Sud e tutti quelli che hanno fatto il militare con me. Sarà una festa unica».
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