Debora alla prova del nove

Usiamo un termine matematico: siamo alla prova del nove. Dopo il varo della riforma delle autonomie, dopo la dimostrazione di attenzione del renzismo imperante e rottamante verso quest’angolo di Nordest (vedi quattrini di Padoan, vedi Electrolux, vedi Ferriera di Trieste), insomma dopo il vento nuovo che Debora Serracchiani ha annunciato e (almeno in parte) soffiato sulla Regione, il governatore è alle prese con la sfida più difficile: risolvere problemi concreti della sua gente.

Ci sono i soldi dei risparmiatori delle CoopCa, congelati dal tribunale per il rischio crac che devasterebbe la montagna. Ci sono le Coop triestine, con altrettanti bilanci in rosso. C’è poi la dirigenza dell’aeroporto di Ronchi additata da mezza Italia (commissario anti-corruzione Raffaele Cantone compreso) come inadeguata, che invoca la privacy sui mega stipendi che si mette in tasca mentre lo scalo va in rovina e gli aerei sono sempre meno. C’è infine la necessità di affermare che la regione autonoma è di nuovo capace di spendere meno dello Stato. E, magari, di far prima e meglio.  

Per quanto riguarda le CoopCa, la Regione si è mossa subito. Ha costretto quattro componenti del Cda a dimettersi, ha garantito che inietterà nelle vene del sistema cooperativo carnico ormai anemico teste pensanti a trazione regionale, per tentare di salvare il salvabile. Con priorità per i posti di lavoro, l’indotto e i risparmi della gente affidati in buona fede alle coop. Gente che s’è trovata da un giorno all’altro senza il proprio denaro, con cui doveva comprare la macchina al figlio, finire di versare le rate del mutuo, cambiare casa. Di questi tempi, fra l’altro.

Il fatto è che fare questo non basterà. Si dovrà mettere mano anche al sistema. Il problema non sarà risolto se non saremo certi che un altro caso CoopCa non potrà accadere. Serve insomma un ente di vigilanza, serve trasparenza nei conti e nella gestione. Se lavori con i soldi della gente devi comportarti come un ente pubblico. Non esiste privacy, non esistono investimenti segreti, non esiste nulla di tutto questo. E invece l’analisi economica sui bilanci di Stefano Polzot (a pagina 10) mostra come i conti sembrino quadrare per un gioco di plusvalenze su cessioni immobiliari a una società controllata. In pratica un abracadabra.

E veniamo all’aeroporto. Siamo diventati gli zimbelli d’Italia, un Paese già messo male in quanto a scandali. Significa che abbiamo passato il segno. La difesa del direttore dello scalo di Ronchi non è commentabile: come può un dirigente che prende soldi pubblici sognarsi di non divulgare il proprio stipendio? O dire che tanto ci sono altri dirigenti che prendono più di lui? In una regione che si vanta di essere fiore all’occhiello d’Italia (bello sarebbe sapere di cosa) è incredibile che si possa ascoltare qualcosa del genere. Tanto che a Roma addirittura il commissario anti-corruzione Raffaele Cantone è intervenuto, annunciando al nostro giornale che domani invierà una lettera proprio al direttore dello scalo.

Così come Gian Antonio Stella sul Corriere ha rilanciato l’inchiesta firmata da Maurizio Cescon sul Messaggero Veneto. Insomma: a molti friulani è sembrato normale avere un aeroporto così - non a noi, questo lo dico forte - ma a Cantone, che di porcherie ne vede parecchie, è sembrato invece anomalo. Segnamolo su un foglietto, per favore, così la prossima volta che vediamo un aeroporto ridotto così ci tiriamo un pizzicotto e gridiamo forte: ma che roba è questa?

Bene, ora tocca alla Regione spingere perché il presidente Sergio Dressi si dimetta al più presto e smetta di incassare gli oltre 100 mila euro l’anno che incassa. Serve anche trovare un’alternativa al direttore in carica, nel rispetto della legge, ma anche nel rispetto dei cittadini, soci al cento per cento dell’aeroporto e quindi veri proprietari.

E veniamo alla riforma delle autonomie. Il varo c’è stato. Fra le polemiche. Con la destra fuori dall’aula e un clima da campagna elettorale. Non entro qui nel merito dell’efficacia e delle possibili migliorie. Perché non serve. La riforma è figlia della ricerca di maggiore efficienza da parte del governatore, un fatto strategico, cioè storicamente dirimente rispetto all’uscita dalla (brutta) situazione attuale.

Va però detta una cosa con chiarezza. Non basta. Non basta per un motivo logico prima ancora che politico, una ragione che Serracchiani conosce bene. Il sistema delle autonomie non era la parte più inefficiente del sistema pubblico e la velocità del sistema-paese (o del sistema-regione), come per i convogli navali, non si determina dal vascello più veloce, ma da quello più lento.

Non basta dunque rendere ancora più veloce, o più efficiente, chi lo è già. Per investire in una nuova fabbrica o in nuovo polo turistico, non basta che il Comune riduca da tre mesi a tre giorni il tempo per le sue autorizzazioni, se poi le autorizzazioni ambientali, monumentali etc., di competenza di altre autorità, richiedono sei anni. Sempre sei anni aspetterò per aprire e intanto mi sarò stufato e avrò delocalizzato in Croazia o in Carinzia. Ecco la prova del nove. Ecco dove si deve dimostrare che il peso romano del governatore conta tanto quanto l’impegno in Friuli. Ecco cosa serve oggi fare. Per vincere domani.

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