Dentro la casa di riposo di Mortegliano, uno dei focolai del Friuli: "Vi racconto come si vive alla Rovere Bianchi"

Si chiama Fiorenzo Di Giusto, è di Chiasiellis, e al centro assistenziale di Mortegliano è arrivato quasi due anni fa dopo aver fratturato il femore, per due volte, e una spalla. Ha 71 anni e il suo problema principale è la deambulazione, ma la testa ce l’ha a posto. L’idea di entrare in casa di riposo, dopo che gli è mancata la compagna, è stata quasi una scelta volontaria: non ha voluto essere di peso agli altri parenti (non ha figli) e della decisione sembra non pentirsi affatto, perché dice di trovarsi bene alla Rovere Bianchi.
Il coronavirus ha colpito duramente la struttura, infettando 23 operatori e 42 ospiti, dei quali molti ultraottantenni e gravati da altre patologie. Purtroppo, come riferito, sabato c’è stato il decimo decesso: è mancata la morteglianese Renata Nadalini in Tirelli, e tre giorni prima era deceduta la sorella Maria. La delicata situazione è seguita in prima persona dal sindaco Roberto Zuliani.
Infatti la competenza della casa di riposo è del Comune, che ha appaltato i servizi alla persona, infermieristici e pulizie a Euro&Promos social health care e la cucina alla società Gemeaz. Essendo emerse fra lavoratori e ospiti, due settimane fa, diverse positività al Covid-19, la situazione è stata presa in mano da medici e infermieri del distretto di Codroipo, che hanno infine somministrato a tutti il tampone, isolando i positivi. Fiorenzo, per tutti “Fiore”, che ha avuto la fortuna di essere negativo al coronavirus, ha accettato di rispondere ad alcune domande.
Come va?
«Bene, non posso lamentarmi del trattamento, si tira avanti. Dopo il risultato del tampone, tre giorni fa, mi hanno spostato di stanza: adesso sono nel reparto “azzurro”, dove sono i negativi, mentre i positivi e gli ammalati sono in quello “bianco”. Non possiamo muoverci dal reparto e dobbiamo mantenere la distanza fra di noi. Ci misurano la febbre sei volte di giorno e tre volte la notte».
È una situazione difficile, vero?
«Qui è tutto un correre di medici e le operatrici fanno l’impossibile: chiuse in quegli scafandri bianchi, poverine, non so come facciano. Una mi ha detto “Fiore, sono calata due chili”. Sono persone mandate da Dio, sono da ringraziare perché non ci fanno mancare niente».
Con la cucina chiusa per positività di un addetto, adesso il cibo com’è?
«Arriva preconfezionato, neanche da mettere con prima: era super».
Da quanto tempo non vedete i parenti?
«Da 15 giorni. Ma a mia sorella telefonano da qui ogni sera, per far sapere come sto».
Avete saputo che diversi sono mancati?
«Non ci dicono, per non farci preoccupare. Ma non li vediamo e le voci girano fra noi. Stavano male da tempo, per malattie loro».
In questa casa di riposo quasi tutti sono non autosufficienti, lei che è così lucido come trova compagnia?
«Il mio amico, con cui ero sempre insieme, è positivo e lo hanno spostato nel “bianco”, ma ci telefoniamo tutto il giorno. Qui sono come in albergo: tutti gentili, medici e infermiere, e personale delle pulizie. Dopo cena saluto mia sorella al telefono e mi guardo un telegiornale: uno solo, se no si impazzisce con queste brutte notizie. Poi metto in carica il cellulare, prendo la mia pastiglietta e vado a dormire. Non ci manca niente, lo ripeto. Mi chiama spesso il sindaco Zuliani, mi chiede di cosa ho bisogno. “Avrei finito – dico – la ricarica della sigaretta elettronica e non so come fare”. Detto fatto, mi ha detto di mandargli la foto con la marca e lo ha fatto comprare da sua figlia in internet. Che devo dire, è proprio un sindaco bravo, ci è molto vicino».
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto