Di Giusto racconta i fatti di El Alamein

Domani sarà presentato il libro di uno degli ultimi testimoni Nel 1942 il deserto si bagnò del sangue di 40 mila soldati

La battaglia di El Alamein, o meglio il conflitto che si sviluppò in Egitto tra luglio e novembre del ’42, che segnò l’avvio della sconfitta per il fronte italo-tedesco, rappresenta uno dei fatti più sanguinosi della seconda guerra mondiale: quasi 40 mila morti tra italiani, tedeschi e inglesi. Il pordenonese Piero Di Giusto, uno degli ultimi testimoni di quei tragici avvenimenti, ha deciso di raccontare la sua epopea ne “La battaglia di El Alamein - i ragazzi della Folgore”, a cura di Piergiorgio Grizzo, edito per Biblioteca dell’immagine. Il libro sarà presentato domani, alle 18, a Palazzo Mantica con la partecipazione dello stesso Di Giusto, di Grizzo, di Luigi Bertagna e del sindaco di Pordenone, Sergio Bolzonello. L’incontro sarà moderato dal giornalista Stefano Polzot. Anticipiamo un brano del libro.

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Salgo sopra una duna per vedere cosa ci aspetta dall’altra parte, striscio fino alla sommità del pendio e vedo quello che mi aspettavo ma che speravo ardentemente di non vedere. Sotto di me c’era un formicaio di carri armati e di blindati che avanza da est. Una diga di ferro che luccica al sole già alto del quasi mezzogiorno. Scendo verso la colonna e avverto Finocchi che non si perde d’animo: “Va bene, ragazzi, gambe in spalla e togliamoci da qui. Procediamo ancora verso sud”.

Ci attestiamo sul ciglio della depressione in alcune buche lasciate libere da un’altra compagnia. Il fronte tace, anche il cannoneggiamento più a nord sembra essersi calmato. Siamo tornati alla routine delle solite raffiche giornaliere di 88, ma Finocchi non è del tutto persuaso che sia una buona cosa. I portaordini non hanno notizie rassicuranti. Pare che l’Ariete, la divisione dei carri, stia subendo grandissime perdite e che il nemico abbia già sfondato in un paio di punti al centro del nostro schieramento. Questo significa che rischiamo di rimanere accerchiati. Anche la depressione non sembra più così sicura. Pare che siano stati avvistati jeep e blindati inglesi anche alle nostre spalle. Ma per dove sono passati se noi non li abbiamo visti? Le sabbie mobili della depressione sono assolutamente insuperabili per qualsiasi automezzo, a meno che non siano arrivati volando.

Dal comando le notizie sono sempre più confuse. Un solo ordine che ormai è come un martello pneumatico: “Non mollare”, “Non mollare”, “Non mollare”. Finocchi non crede a quello che vede: ogni due ore arriva sempre lo stesso messaggio. Sembra che non abbiano altra scelta, d’altro canto. “Non mollare”. Resistere o morire.

Ogni volta che ho un attimo per pensare mi monta una rabbia indicibile, un senso di impotenza, di confusione. Mi sento preso per i fondelli, tradito. Spariamo contro i carri armati, contro le mitragliatrici con dei fucili ridicoli, inadatti, a sei colpi. Ho un pugnale ormai spuntato e senza lama che ho usato per scavare buche nel calcare, dal momento che non avevamo neanche una piccola vanga. Il nemico, invece, può sparare colpi di cannone senza riserve, senza parsimonia. Ci annichilisce con la sua potenza di fuoco. Ma che guerra è mai questa?

Piero Di Giusto, classe 1918, è un pordenonese doc. Arruolato nel Genio nel 1940, ha partecipato, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, alla campagnia in Albania. Di seguito, arruolatosi nella nuova arma dei paracadutisti, è stato inviato in Africa Settentrionale per partecipare alla storica battaglia di El Alamein tra le fila della leggendaria divisione Folgore.

Oggi è rimasto uno dei pochi testimoni oculari di quel capitolo di sangue e di eroismo che ha segnato il corso del secondo conflitto mondiale e della storia. Uno degli ultimi “ragazzi della Folgore”, i protagonisti di un’epopea di coraggio e sacrificio che merita di essere celebrata e perpetuata al di là di ogni ideologia.

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