Dichiara il falso sui carichi pendenti: dottoressa licenziata

UDINE. Una dichiarazione non vera, o comunque errata nella sostanza, è costata il posto a una dirigente medico di chirurgia plastica e ricostruttiva dell’Azienda sanitaria universitaria integrata di Udine.
Dal prossimo 1° giugno, il contratto a tempo determinato stipulato lo scorso 20 dicembre con Daria Almesberger, triestina di 33 anni, sarà risolto.
La decisione è stata assunta dalla direzione aziendale a conclusione del procedimento amministrativo di esclusione della professionista dalla graduatoria di merito approvata il 3 novembre.
A determinarne la decadenza è stata la mancata indicazione, nella domanda di ammissione alla selezione, del procedimento penale che aveva in corso e che risulta tutt’ora pendente.
Vicenda peraltro nota agli ambienti sanitari e culminata il 24 gennaio scorso nella sua condanna a un anno e due mesi di reclusione, sospesa con la condizionale, inflittale dal tribunale collegiale di Padova, per concorso in abuso d’ufficio.
Per avere beneficiato, cioè, del favore del direttore della clinica - a sua volta giudicato penalmente responsabile - per l’accesso nella scuola di specializzazione nell’anno accademico 2011/2012. La sentenza è stata impugnata davanti alla Corte d’appello di Venezia.
Nel compilare l’allegato inerente la dichiarazione sostitutiva di certificazione, la candidata aveva barrato la parola «Nessuno» in corrispondenza della dichiarazione «di essere a conoscenza di essere sottoposto ai seguenti procedimenti penali».
All’epoca, però, il processo era già cominciato. Ma è qui che, stando alla difesa, si sarebbe determinato l’equivoco.
«Non c’è falso consapevole – afferma l’avvocato Maurizio Miculan – perchè, prima di presentare la domanda, la Almesberger ha chiesto e ottenuto dal tribunale di Trieste, dove risiede, le certificazioni del casellario giudiziale e dei carichi pendenti a suo nome.
Entrambi davano esito negativo ed è per questo che ha dichiarato di non avere tecnicamente alcuna pendenza penale in corso».
Per trovare traccia del procedimento in cui figurava imputata, avrebbe dovuto presentare domanda al tribunale di Padova. Ossia nella sede in cui si stava celebrando.
«Circostanza evidentemente sconosciuta a chi non frequenta quotidianamente per professione i palazzi di giustizia», continua il legale, che si riserva comunque di impugnare il provvedimento nelle competenti sedi giudiziarie.
«Ha agito in buona fede – ha concluso il difensore –, cadendo in errore scusabile e tale da escludere ogni forma di dolo». Un’ingenuità, insomma, considerato anche che la pendenza «non sarebbe stata ostativa alla partecipazione al concorso poi vinto», ma di cui ora dovrà difendersi anche sotto il profilo penale.
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