Dissenso e muro del pianto così la storia udinese si ripete
L’avvio del cantiere per il parcheggio di piazza Primo maggio continua ad animare la cronaca in questo caldo agosto. Si legge che a cura del comitato “Zardin Grant”, nato per contrastare l’opera, sono già state raccolte più di 1200 firme di (udinesi?) contrari all’inizio dei lavori. Come se un’opera pubblica il cui progetto è stato sottoposto al vaglio di tutti gli organismi competenti (Regione, vigili del fuoco, Amga, Asl, Soprintendenza ai monumenti, Commissione igienico edilizia), approvato dal consiglio comunale e oggetto di una gara di appalto a evidenza pubblica conclusa con l’aggiudicazione dell’appalto, possa essere sospesa a “lavori consegnati” semplicemente perché alcune centinaia di cittadini manifestano contrarietà.
E sì che l’argomento è stato dibattuto a lungo anche nel corso della campagna elettorale in primavera il cui esito ha visto la riconferma del centrosinistra che aveva nel programma elettorale la realizzazione del parcheggio. Sembrava che l’argomento fosse chiuso pur mettendo in conto il malcontento di cittadini e commercianti della zona che dovranno modificare le proprie abitudini per la vicinanza del cantiere. Invece il dissenso ha ripreso vigore a seguito della realizzazione del “muro del pianto” a chiusura del cantiere, un dissenso che ha richiamato alla memoria le polemiche seguite 45 anni fa all’innalzamento in piazzale XXVI luglio del modello del monumento alla Resistenza. Anche allora i giornali riportarono numerosi pareri contrari accompagnati da espressioni quali “muro di Berlino”, “cassone” e “baraccone” privo di qualunque valenza artistica. Oggi il copione si ripete con gli avversari dell’opera che accampano presunti pericoli derivanti dalla presenza di falde acquifere nel sottosuolo quando, come è stato ampiamente documentato, la falda scorre a oltre 50 metri di profondità con lo scavo del parcheggio che arriverà a 10-12 metri. A meno che non sia nella nostra natura opporsi sempre e comunque ai progetti predisposti dalle pubbliche amministrazioni (nell’interesse di tutti): si pensi alla Tav, all’elettrodotto, all’autostrada, ai rigassificatori o alle antenne per la telefonia che continuano a preoccupare 100.000 udinesi che utilizzano 100.000 telefonini.
Del resto la storia ci fornisce un illustre precedente: nel 1479 il luogotenente veneto Giovanni Emo portò all’approvazione dei deputati udinesi il progetto di una nuova piazza da realizzarsi tra la loggia del Lionello appena ultimata e il portone di accesso al Castello. Il progetto, pur approvato a maggioranza, incontrò l’opposizione di un gruppo di cittadini che, guidati da tale messer Iacopino, invocarono l’intervento della Serenissima per fermare la costruzione della “piazza nuova” la cui realizzazione avrebbe comportato per gli udinesi l’imposizione di nuove gabelle. La protesta ebbe l’effetto di rallentare il progetto che, dopo il blocco iniziale ordinato da Venezia, venne ripreso e ultimato quasi 70 anni dopo. Se fosse dipeso dalla volontà di messer Iacopino e dei suoi seguaci, oggi Udine non potrebbe vantare una delle piazze più belle d’Italia.
Adalberto Burelli
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