Dopo l’ esposto in Procura primi indagati nel cda

Nel mirino dei magistrati i vertici dell’azienda. Il procuratore Tito: è un atto dovuto. Sotto esame il bilancio, la raccolta di risparmio tra i soci e i conflitti d’interesse

UDINE. Il conto alla rovescia per i presunti responsabili del crac di Coop Carnica è cominciato martedì, quando in Procura è stata depositata la querela dei soci prestatori. Da quel momento, per l’inchiesta è iniziata l’impennata. Il primo colpo di “gong” ha suonato l’altro giorno, con la precisazione delle ipotesi di reato su cui indagare: falso in bilancio e conflitto d’interessi. Il secondo si perfezionerà nel giro di qualche giorno, con l’iscrizione sul registro degli indagati delle persone ritenute colpevoli di quelle accuse e delle altre che, eventualmente, vi si aggiungeranno. Il procuratore facente funzioni di Udine, Raffaele Tito, non si sbilancia ancora con i nomi. «Li stiamo identificando - dice -. Questione di poco. Sì, naturalmente ci muoviamo nell’ambito dei componenti del Consiglio d’amministrazione e della direzione. Ma si tratta - tiene a sottolineare - di un atto dovuto. Esiste un esposto-querela e a noi compete procedere».


L’inchiesta


Non serve sapere di legge, per indovinare l’identità delle persone sulle quali, a breve, peserà uno dei procedimenti giudiziari più corposi dell’anno. La direzione indicata nell’esposto-querela presentato dall’avvocato Gianberto Zilli, legale del Comitato spontaneo di difesa dei soci prestatori di CoopCa, e quella imboccata ora dal procuratore Tito e dalla collega sostituta, Elisa Calligaris, sono oltremodo chiare. Puntano entrambi il dito sulla gestione degli ultimi due esercizi del bilancio della società di Amaro. Quelli che hanno portato all’incaglio di 26,5 milioni di euro di prestito sociale e con i quali si è riusciti a “bruciare” ulteriore capitale per complessivi 8 milioni di euro in certificati azionari. Lasciando i soci a secco e ponendo tutte le premesse per la dichiarazione di fallimento.


L’esposto-querela


Il “cavallo di Troia” che ha permesso alla Procura di formulare le prime ipotesi di reato, dopo che in dicembre era già stato aperto un fascicolo sul caso, è stata dunque la denuncia dei quasi 800 soci riuniti nel Comitato (sui circa 3 mila presenti in CoopCa). «Ora che ci sono le condizioni di procedibilità dell’azione penale - aveva spiegato Tito -, potremo valutare una serie di reati altrimenti non perseguibili d’ufficio. A cominciare dal falso in bilancio e dal conflitto di interessi». Ipotesi, quest’ultima, collegata alla riforma del diritto societario del 2002.

L’avvocato Zilli aveva a sua volta suggerito approfondimenti investigativi su una lunga serie di presunti casi di mancata vigilanza e false comunicazioni sociali in danno ai creditori e aveva ipotizzato anche, alla luce delle carte a sua disposizione, il reato dell’abusiva attività di raccolta del risparmio e quello della truffa aggravata, attraverso la “lettera-beffa” inviata ai soci poco prima che fosse issata bandiera bianca.

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Le analogie con Trieste


Avvenuto a poca distanza di tempo e di luogo dallo scandalo delle Cooperative operaie di Trieste, lo tsunami che ha travolto CoopCa presenta analogie che l’avvocato Zilli non ha esitato a evidenziare nell’esposto. «È possibile, ma va accertato - si legge - che anche CoopCa abbia adottato modalità operative analoghe a quelle delle Cooperative operaie di Trieste nella gestione della restituzione del prestito sociale che ha consentito alla Banca d’Italia prima e alla locale Procura poi di ipotizzare attività di esercizio abusivo dell’attività bancaria». Doppia anche nel capoluogo giuliano la spada di Damocle fatta pendere sulla società: da un lato, ci sono gli aspetti amministrativi legati a doppio filo dall’esito della procedura di concordato preventivo concessa dal tribunale all’amministratore giudiziario, Maurizio Consoli; dall’altro, c’è l’inchiesta penale che i pm Federico Frezza e Matteo Tripani hanno avviato a carico dell’ex presidente, Livio Marchetti, proprio per falso in bilancio. Secondo l’accusa, i conti delle Coop operaie venivano “gonfiati” e “abbelliti” all’occorrenza attraverso operazioni immobiliari infragruppo.


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