Duemila famiglie verso l’addio ai sussidi
PORDENONE. Entro sei mesi niente più rete di protezione per quasi 400 persone uscite da grandi aziende (a cui se ne aggiungono altrettante da imprese con meno di 15 dipendenti): tra nove mesi il doppio, 825 persone (il doppio se si considera anche la mobilità non indennizzate) – e quindi altrettante famiglie – senza più ammortizzatori sociali.
Dopo il 31 marzo 2014 altri 1226 accompagnati alla porta di uscita (a cui si aggiungono 800 non indennizzati), solo con più tempo a disposizione prima che la chiave la chiuda in modo definitivo. I numeri possono essere implacabili e quelli che riguardano gli iscritti alle liste provinciali di mobilità lo sono. Perché quell’iscrizione è l’ultima fermata prima della disoccupazione. Prima del passaggio nell’emergenza sociale.
Lo dice l’ultimo rapporto elaborato dal servizio delle politiche del lavoro della Provincia e lo dicono ancor di più le file delle persone che si rivolgono agli enti locali (Provincia e Comuni). Lo sa la Provincia, che ha in carico le politiche del lavoro, e lo sa il Comune di Pordenone su cui ricadono gran parte di quei lavoratori. Non a caso il sindaco Claudio Pedrotti è pronto a convocare un consiglio comunale aperto dedicato proprio al tema.
La fascia della mobilità indennizzata è formata da 2051 persone, in prevalenza uomini (1251) e in prevalenza maturi: tra i 35 e i 54 anni d’età. La maggior parte di questi (59,8 per cento) manterrà una permanenza in lista oltre il 31 marzo 2014 mentre il 40 per cento - 825 persone - vedranno concludersi il periodo di mobilità entro un anno e questo significa che gli enti locali sono chiamati, nonostante la penuria di risorse e le difficoltà di cassa, ad accelerare la ricerca di soluzioni che vadano oltre il mero assistenzialismo. Un percorso che Pordenone sta facendo a livello di Ambito, ma che, per usare le parole di Pedrotti, da solo non può farcela.
Ma il problema mobilità è composto da altre 1683 persone fuoriuscite da piccole e micro imprese (con una quasi parità tra uomini e donne) che pur non avendo un sussidio, qualora vengano rimpiegate portavano quanto meno in “dote” sgravi fiscali alle aziende. «Con la legge Fornero questo è venuto meno – spiega il presidente Alessandro Ciriani – ragione per cui questa fascia di persone è doppiamente penalizzata».
Il quadro complessivo indica una diminuzione degli avviamenti – il primo trimestre dell’anno rispetto allo scorso ha registrato una diminuzione del 10 per cento – soprattutto tra i giovani e le donne. Aumenta poi la precarizzazione del lavoro – in calo i contratti a tempo indeterminato – e tutti i settori tradizionali presentano il segno meno sotto il profilo occupazionale.
Continua la contrazione degli avviamenti nel settore manifatturiero, da sempre ossatura dell’economia pordenonese, che vede il dato tendenziale ridursi di più di un quinto (- 21,1%) anche se il ridimensionamento più evidente fa capo al settore dei servizi di alloggio e ristorazione con un calo di quasi il 40% degli avviamenti ( -38,4%).
Continua il segno meno per costruzioni, commercio all’ingrosso e al dettaglio e sembra dar segnali di sofferenza anche il settore legato ai servizi alla persona (sanità e assistenza sia nel dato tendenziale -36,6 % che congiunturale -23,4 %). Provincia e Comune chiedono da tempo alla Regione una revisione della legge regionale sul lavoro per far fronte alla “valanga” che sta avanzando. Gli incentivi oggi a disposizione delle imprese per stabilizzare l’occupazione diventano inutili se le imprese hanno il problema di mantenere i livelli occupazionali consolidati.
L’esigenza degli enti locali è quella di avere strumenti flessibili e aggiornati rispetto a quella che è una crisi strutturale. Perché la valanga di espulsi dal mondo del lavoro va a scaricarsi direttamente sul sociale, ma il mero assistenzialismo non può essere la risposta all’emergenza.
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