É morto il Papa emerito Benedetto XVI, primo in epoca moderna a rinunciare al pontificato

«Con dolore informo che il Papa Emerito Benedetto XVI è deceduto sabato 31 dicembre, alle 9.34, nel monastero Mater Ecclesiae in Vaticano». Questo l’annuncio del direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni.
«Un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore», disse affacciandosi per la prima volta dal balcone di piazza San Pietro. Grande e rigoroso teologo, capace di rendere accessibili temi molto complessi, Joseph Ratzinger è stato eletto Papa tre giorni dopo la data del suo compleanno, il 19 aprile 2005, dopo solo quattro votazioni alla seconda giornata del conclave (tre scrutini e un giorno di votazioni, solo per Pio XII ci volle così poco).

L’annuncio delle dimissioni
Ha annunciato in latino, durante un Concistoro ordinario, la sua rinuncia al ministero petrino l’11 febbraio 2013, diventando l’ottavo Pontefice a farlo, se si considerano i casi di Clemente I, Ponziano, Silverio, Benedetto IX, Gregorio VI, Celestino V e Gregorio XII (di cui si hanno fonti storiche certe o molto attendibili). È Papa emerito dal 28 febbraio 2013.
Della sua rinuncia al papato, Ratzinger non si è mai pentito, almeno secondo il suo segretario particolare e prefetto della Casa pontificia, monsignor Georg Gaenswein, che in un documentario realizzato da una televisione tedesca affermò che «le dimissioni sono state una decisione lunga, ben pregata e sofferta, di cui non si è mai pentito» e che il «Papa emerito è completamente in pace con se stesso».
Le battaglie di Ratzinger e la lettera contro la pedofilia
Negli anni del suo Pontificato, Ratzinger dà il via a una vera e propria rivoluzione in termini di trasparenza, contribuendo a una inversione di rotta nei confronti dei preti pedofili.
Già nel marzo 2005, meno di un mese prima dell’elezione al soglio petrino, il futuro Papa denunciò, durante la processione del Venerdì Santo, la dilagante piaga della pedofilia all’interno del clero. Come Benedetto XVI poi incontra le vittime di abusi in Vaticano, Usa, Australia, Malta, Gran Bretagna e Germania.
Nel 2010 scrive una lettera pubblica ai cattolici d’Irlanda destinata a passare alla storia in cui esprime vergogna, disonore e rimorso a nome della Chiesa. In quasi otto anni da Papa, Joseph Ratzinger redige tre encicliche: Deus caritas est (25 dicembre 2005), Spe Salvì (30 novembre 2007), Caritas in veritate (29 giugno 2009).
I suoi testi
Quattro le esortazioni apostoliche: Sacramentum Caritatis: esortazione apostolica post-sinodale sull’Eucarestia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesà (22 febbraio 2007), Verbum Domini: esortazione apostolica post-sinodale sulla Parola di Dio nella vita e nella missione di Dio nella vita e nella missione della Chiesà (30 settembre 2010), Africae munus: esortazione apostolica post-sinodale sulla Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pacè (19 novembre 2011) ed Ecclesia in Medio Oriente: esortazione apostolica post-sinodale sulla Chiesa in Medio Oriente, comunione e testimonianzà (14 settembre 2012). Decine i viaggi in Italia e all’estero.
PER APPROFONDIRE:
La sua infanzia e i suoi studi
Figlio di un poliziotto e una cuoca, Joseph Aloisius Ratzinger nasce a Marktl am Inn, nel territorio della diocesi di Passau, in Germania, il 16 aprile 1927.
La sua infanzia è segnata dalla guerra. Entra in seminario a 12 anni, seguendo i passi del fratello maggiore Georg, ma è costretto a indossare la divisa militare perchè reclutato nel programma Luftwaffenhelfer, riservato a tutti i giovani studenti.
Successivamente viene arruolato tra le fila della Wehrmacht. Vive da vicino la brutalità del nazismo: un suo cugino affetto da sindrome di Down viene ucciso, nell’ideologia della pura razza hitleriana e il suo parroco bastonato dai nazisti prima della celebrazione di una messa.
Solo con la fine della guerra Ratzinger torna ai suoi amati libri e il 29 giugno 1951, a 24 anni, è ordinato sacerdote. Un anno dopo inizia la sua attività didattica nella medesima scuola di Frisinga dove era stato studente. Dopo la tesi in teologia (1953), intraprese una brillante carriera accademica.
Insegna all’Università di Bonn, di Munster e di Tubinga. Nel 1969 torna nella natia Baviera all’Università di Ratisbona, dove gli viene offerta la cattedra di dogmatica e storia del dogma e dove assume anche l’incarico di vicerettore.
L’intensa attività accademica e scientifica lo porta a svolgere importanti incarichi nella Conferenza episcopale tedesca, nella Commissione Teologica Internazionale.
Notevole è il contributo che Ratzinger dà al Concilio Vaticano II (che apre i lavori nell’ottobre del 1962) e in qualità di «esperto» assiste il cardinale Joseph Frings, arcivescovo di Colonia. È nominato arcivescovo di Monaco e Frisinga da Paolo VI il 25 marzo 1977.
L’ordinazione episcopale la riceve il 28 maggio dello stesso anno: primo sacerdote, dopo 80 anni, ad assumere il governo pastorale della grande diocesi bavarese. Sceglie come motto episcopale: ’Collaboratore della Verita«. Lo stesso Pontefice il 27 giugno 1977 gli assegna il titolo presbiterale di Santa Maria Consolatrice al Tiburtino, nominandolo cardinale.
L’anno dopo quindi partecipa al conclave che elegge Papa Albino Luciani (Giovanni Paolo I), il 26 agosto e il 16 ottobre dello stesso anno, a quello che elesse al soglio petrino Karol Woytjla. Sarà Giovanni Paolo II a chiedere a Ratzinger di tornare a Roma. Nel 1981 (il 25 novembre) lo nomina Prefetto della Congregazione della Fede (incarico durato 23 anni e mezzo), presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale.
La collaborazione con Giovanni Paolo II
Negli anni di leale collaborazione con Giovanni Paolo II in più occasioni trapela un suo dissenso sulle scelte "di frontiera” del Papa, come la Giornata Mondiale di preghiera per la Pace del 27 ottobre 1986 che raduna ad Assisi i leader di tutte le religioni del mondo.
E ugualmente il cardinale Ratzinger non condivide la scelta del "mea culpa” che Papa Wojtyla decide di pronunciare in occasione del Grande Giubileo del 2000. Dissenso non pubblico da parte dell’allora cardinale Ratzinger anche per quanto riguarda l’istituzione della Giornata della Misericordia, che per decisione del precedente Pontefice viene celebrata nella seconda domenica di Pasqua.
Ma queste "riserve” del custode dell’ortodossia non incrinano il rapporto di fiducia che lo lega al Pontefice, per il quale ha «fatto ordine» in tema di teologia della Liberazione, con documenti e provvedimenti che hanno in pratica sradicato questa visione troppo orizzontale della vita cristiana dalla Chiesa ufficiale dell’America Latina, lasciando però il campo libero alle sette religiose fondamentaliste che promettono più solidarietà contro l’ingiustizia. Sempre Wojtyla lo nomina nel 1986, presidente della Commissione per la preparazione del ’Catechismo della Chiesa cattolica.
Il perché del suo nome
Nella sua prima udienza generale (27 aprile 2005) spiega il perchè del nome: «Ho voluto chiamarmi Benedetto XVI per riallacciarmi idealmente al venerato Pontefice Benedetto XV, cha ha guidato la Chiesa in un periodo travagliato a causa del primo conflitto mondiale.
Fu coraggioso e autentico profeta di pace e si adoperò con strenuo coraggio dapprima per evitare il dramma della guerra e poi per limitarne le conseguenze nefaste».
Il 12 settembre 2006 il suo incontro con rappresentanti della scienza all’Università di Ratisbona, in Germania. Il discorso dedicato al dialogo tra fede e ragione provocò inizialmente reazioni allarmate in tutto il mondo e segnò per settimane i rapporti con l’Islam.
«Vivere nascosto al mondo»
La storica rinuncia di Benedetto XVI, primo Papa a dimettersi da sei secoli - l'ultimo era stato Gregorio XII nel 1415 -, e la sua decisione di restare a vivere nella Città Leonina, seppur appartato nell'ex monastero Mater Ecclesiae, determinarono una situazione davvero senza precedenti: per la prima volta in duemila anni di storia della Chiesa due Papi si trovavano a coesistere in Vaticano.
Joseph Ratzinger, tra l'altro, pur avendo abbandonato il pontificato, non volle essere chiamato «vescovo emerito di Roma», come consigliato da alcuni canonisti, scegliendo per sua stessa decisione la denominazione di «Papa emerito» o «Romano Pontefice emerito», mantenendo anche la veste bianca, per quanto senza mantellina, e il titolo di «Sua Santità».
Comunque la "coabitazione” col successore, papa Francesco - cui al momento stesso di lasciare il papato alla fine di febbraio del 2013, aveva promesso «obbedienza» -, è stata per alcuni anni senza scosse, di armonia pubblicamente perfetta, priva assolutamente di ingerenze nel governo della Chiesa come di atti o dichiarazioni che potessero in qualche modo mettere in dubbio l'autorità o le decisioni del Pontefice in carica.
Vivere «nascosto al mondo», dedito allo studio, alla meditazione e alla preghiera, era stata l'intenzione annunciata dal Papa dimissionario.
Una linea che ha sempre mantenuto, con discrezione “bavarese”, interrotta solo dalle poche uscite pubbliche, e nel 2016 da un paio di interviste e soprattutto dall'uscita del libro-testamento, «Ultime conversazioni», ampio domanda e risposta col giornalista tedesco Peter Seewald che aveva già realizzato con lui «Luce del mondo».
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