Eccessi di cibo: cinque casi di lacerazioni dell’esofago

PORDENONE. Di indigestione si può anche morire. In caso di complicanze letali dovute alla sindrome di Boerhaave. Una patologia in cui l’eccessiva ingestione di cibo e bevande provoca la rottura spontanea dell’esofago.
È successo a un cinquantenne pordenonese l’estate scorsa. Deceduto due mesi dopo il ricovero d’urgenza. L’équipe del reparto di rianimazione e terapia intensiva, diretta dal primario Flavio Bassi, era riuscita a salvarlo e a rimetterlo in sesto.
Tanto che il paziente era stato trasferito al reparto di chirurgia. Poi, però, le complicanze infettive che subentrano alla lacerazione dell’esofago non gli hanno lasciato scampo.
In venti anni di carriera, il primario Bassi ha trattato soltanto un caso di Boerhaave. Una sindrome piuttosto rara. A Pordenone, in meno di un anno, ne ha contati invece cinque, dei quali tre da ottobre a dicembre.
L’ultimo ricovero risale alla notte di San Silvestro, quando è stato operato dalla chirurgia generale un sessantenne pordenonese. Al veglione di capodanno aveva esagerato. Dopo aver gustato numerose pietanze, alcune delle quali a base di legumi, ha bevuto due litri di Chinotto. L’esofago non ha retto.
Si tratta di una patologia gravissima. Si manifesta con un violento dolore al torace, pressione bassa, fatica a respirare e vomito.
Con una Tac si diagnostica immediatamente. E nel caso di questa sindrome acuta la diagnosi precoce salva la vita. Dopo l’intervento chirurgico, inizia però una lunga fase di convalescenza.
Nel decorso post-operatorio insorgono molto spesso pericolose infezioni dei tessuti circostanti l’esofago, dal cuore ai polmoni. Complicanze che possono avere un esito fatale. Per questa ragione i pazienti vengono monitorati dopo l’operazione al reparto di rianimazione e terapia intensiva.
Il nome della sindrome deriva dal medico olandese Herman Boerhaave che documentò nel Settecento il primo caso conosciuto di tale patologia che uccise un ammiraglio olandese, celebre per le sue libagioni con le quali era solito festeggiare la conclusione delle campagne militari.
L’ammiraglio si ingozzava di cibo e poi si provocava il vomito per ricominciare a mangiare.
Durante uno dei suoi banchetti, l’ammiraglio lanciò un urlo e morì, dopo un vomito auto-indotto. Fu eseguita l’autopsia e scoprirono che aveva subito la lacerazione dell’esofago. Da qui il nome della patologia.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto