Ecco come è stato ucciso Mirco Sacher
UDINE. Asfissia da strozzamento, in soggetto con contemporaneo schiacciamento del torace e dell’addome: la sintesi delle 38 pagine della consulenza tecnica medico-legale elaborata dal professor Carlo Moreschi, su incarico della Procura per i minorenni di Trieste, è contenuta in queste poche righe.
Quella, secondo l’anatomopatologo, la causa del decesso di Mirco Sacher, il pensionato di 66 anni trovato senza vita in un campo di via Buttrio lo scorso 7 aprile, e quello anche il punto d’arrivo delle indagini condotte dalla Squadra mobile della Questura di Udine a carico delle due quindicenni che, la notte dell’omicidio, dopo una fuga rocambolesca in autostrada al volante dell’auto della vittima, si presentarono al Comando dei carabinieri di Pordenone per autodenunciarsi.
Il giorno dopo il deposito della relazione, sul tavolo del pm Chiara De Grassi da mercoledì mattina, è il procuratore capo Dario Grohman a tirare le fila di uno dei casi più discussi - almeno a livello mediatico - degli ultimi tempi. «Contesteremo l’ipotesi più grave dell’omicidio volontario - ha affermato ieri dal suo ufficio triestino -. Davvero difficile, a questo punto, fare rientrare l’episodio nell’ambito della preterintenzionalità. Se anche le due ragazzine avessero agito per difendersi da possibili approcci sessuali, avrebbero potuto comunque fermarsi prima che fosse troppo tardi».
Usato il palmo delle mani. Le conclusioni del medico legale riconducono dunque la morte del pensionato delle Ferrovie all’effetto congiunto derivante dallo strozzamento e dallo schiacciamento dell’uomo e non invece, come si era in un primo momento sospettato, a un arresto cardiaco sopraggiunto a seguito dell’aggressione.
«Nel caso in esame - si legge nella relazione - le “azioni lesive” a carico dell’asse cerebrovascolare e/o respiratorio si possono identificare nella compressione esercitata a livello del collo, da parte di un mezzo duro elastico, a sezione limitata, che non ha provocato segni esterni significativi, quale il palmo di una, due o più mani, con schiacciamento delle vie aeree e delle strutture vascolo-nervose del collo e conseguenti fratture della cartilagine tiroide e stravaso emorragico nei muscoli circostanti». Fin qui la parte relativa allo strozzamento. Ma ad aggravare l’asfissia, impedendo «i tentativi compensatori di respirazione forzata», è stata a quel punto la compressione toracica. Da qui, con «lo schiacciamento delle strutture costali», le quattro fratture e le ecchimosi addominali rilevate dall’autopsia.
Si torna all’ipotesi più grave. «Gli sono saltate addosso con le ginocchia, lo hanno immobilizzato e lo hanno strangolato». A fare sintesi, carte alla mano, è anche il procuratore capo. Che, rispolverando quanto confessato già dalle due indagate, non esita a preannunciare l’imminente chiusura delle indagini preliminari e la successiva richiesta, da parte della collega De Grassi, del giudizio immediato. «L’autopsia conferma l’esito dei primi accertamenti del medico-legale e il racconto delle ragazze - afferma Grohman -. Posto che spetterà al gup, poi, la scelta della qualificazione del reato, dal canto nostro insisteremo per la tesi dell’azione di tipo volontario. Quanto alla ragione che le ha spinte ad agire in quel modo e all’ipotesi relativa a una reazione determinata da un tentativo di violenza sessuale da parte della vittima, come sostenuto dalle difese, spetterà sempre al giudice pronunciarsi».
Recupero e non condanna. Colpite due mesi fa dalla misura cautelare del collocamento in due diverse comunità protette di fuori regione, le quindicenni vi rimarranno almeno fino al 9 luglio, per la proroga chiesta e ottenuta nei giorni scorsi dal pm in vista del completamento delle indagini. Nell’ordinanza, il gip di Trieste, Laura Raddino, aveva qualificato l’ipotesi in omicidio preterintenzionale - intendendo la morte, quindi, come sola conseguenza di un’azione violenta - ed escluso l’aggravante contestata dalla Procura. Escludendo la volontà omicida, il giudice aveva ridotto di molto la pena nella quale le due ragazzine potrebbero incorrere in caso di condanna: applicata la diminuente per la minore età, si andrebbe da un minimo di 2 a un massimo di 9 anni di reclusione. Pena ulteriormente riducibile con l’eventuale applicazione delle generiche e di una possibile attenuante della provocazione.
Sul punto, il procuratore non si sbilancia. «Il processo minorile - dice - è finalizzato al recupero e non alla condanna degli imputati. Si vedrà a dibattimento. Una cosa, comunque, ormai sembra appurata - aggiunge -: nel delitto non sono coinvolte altre persone. Tutte le indagini finalizzate a rilevare la presenza di un quarto soggetto sul luogo del delitto sono risultate negative. Su questo e tutti gli altri aspetti, la Questura di Udine ha svolto un ottimo lavoro. E, con ogni probabilità, gli accertamenti dattiloscopici e biologici attesi dalla Polizia scientifica di Padova e Roma non apporteranno alcun altro elemento di novità. Più di così - conclude - non si poteva proprio fare».
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