Ecco come nasce il falso prosciutto Dop

UDINE. Il peso dei suini inviati al macello sarebbe stato superiore a quello previsto dal disciplinare di produzione della Dop in un massimo di 176 chili. Centosessanta per la precisione, con una tolleranza del 10 per cento in più o in meno. Alla macellazione gli allevatori finiti nelle maglie dell’indagine avviata dalla Procura di Torino avrebbero invece inviato suini più pesanti contravvenendo così alle disposizioni del disciplinare.
Di più. Avrebbero utilizzato linee genetiche non conformi con quelle previste dallo stesso documento. Detto altrimenti: maiali non consentiti per la produzione di prosciutto di San Daniele dop. Sono queste le due ipotesi di reato che hanno spinto la Procura di Pordenone, in stretto contatto con quella di Torino che ha dato il via all’indagine, a disporre anche in Friuli Venezia Giulia perquisizioni in diverse stalle.
Gli uomini del Nas martedì hanno dunque passato al setaccio aziende zootecniche e macelli per andarsene carichi di documenti e di campioni organici – peli/sangue – dei suini da far analizzare per verificarne il dna. Perché è da qui che nasce il problema. Dalla fecondazione delle scrofe con il seme di verri dal genoma compatibile o meno con le razze consentite dal disciplinare di produzione. Gli investigatori sospettano che per aumentare la resa dei maiali gli allevamenti abbiano utilizzato linee genetiche maggiormente performanti sotto il profilo dell’accrescimento.
Assolutamente non dannose per la salute, ma non consentite dal disciplinare della Dop. L’avrebbero fatto acquistando il seme di altre linee genetiche – nel caso specifico si parla del Danish Duroc – o usando direttamente verri di quelle linee accompagnati da documenti di animali con la linea genetica corretta, fatti nel frattempo sparire.
Per ora si tratta solo di ipotesi. L’indagine come detto è partita dalla Procura di Torino che ha puntato l’obiettivo su un’azienda attiva nella provincia piemontese votata alla commercializzazione di seme suino: sarebbero partiti da lì quantitativi di seme riconducibili a linee genetiche non conformi.
La maglia delle relazioni commerciali di quest’azienda avrebbe portato dunque gli inquirenti ad allargare il perimetro dell’inchiesta a tutto il Nord Italia. Passando per Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Coinvolgendo decine e decine di imprese attive nei circuiti delle due maggiori Dop del prosciutto italiano: Parma e San Daniele.
Restando in casa nostra, per fare l’apprezzata fettina rosa friulana un maiale non equivale all’altro, è consentito l’uso delle sole Large White e Landrace, così come migliorate dal libro genealogico italiano al pari dei suini derivati dalla Duroc. Sono invece escluse le razze sopra elencate nel caso siano di linee genetiche danesi, irlandesi, francesi, inglesi (solo per citarne alcune) sia gli animali in purezza delle razze Landrace belga, Hampshire, Pietrain, Duroc e Spot poland.
«È bene chiarire che non stiamo discutendo di adulterazioni – ha tenuto a precisare ieri l’avvocato Maurizio Conti, legale di tre delle aziende oggetto delle perquisizioni – e che non vi è nessun problema, neanche minimo, per la salute pubblica. Siamo di fronte a un’ipotesi di mancato rispetto formale relativamente ad alcune regole dettate dal Consorzio di tutela per potersi fregiare della Dop. Regole tecniche, di queste si discuterà».
Regole – si mormora tra addetti ai lavori – che risalgono ai primi anni ’90 – quando fu approvato il disciplinare di produzione della Dop – che andrebbero forse riviste alla luce dell’evoluzione che ha subito nel frattempo la suinicoltura (al di là della Dop) puntando, vista anche la crisi economica, su linee genetiche più remunerative in termini di accrescimento e peso con cui, presto o tardi, anche le denominazioni dovranno fare i conti.
«Il ministero – ha fatto sapere il ministro all’Agrcioltura Maurizio Martina – conferma la massima attenzione nella tutela delle produzioni italiane di qualità e della sicurezza dei consumatori che, in tutto il mondo, chiedono il vero Made in Italy agroalimentare. Questo vuol dire anche salvaguardare il lavoro delle aziende oneste che ogni giorno, con passione e professionalità, contribuiscono a garantire l’eccellenza del comparto».
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