Ecco i “papa boys” di Giovanni Paolo II

PORDENONE. «Stiamo dentro a questo mondo, vogliamo esserci per costruire qualcosa». «Non mi preoccupa se sarò accettato, piuttosto mi chiedo: potrò essere all’altezza?». Sono i “pensieri dell’ultima ora” per tre giovani che – sabato 16 aprile alle 15 nella cattedrale di Concordia Sagittaria – verranno ordinati preti.
«Ho studiato filosofia del chiodo all’Ipsia di Brugnera», esclama con una certa dose di humor Luca Basaldella, 27 anni, di Ranzano di Fontanafredda. Specializzato in arredo d’interni, designer, non ha dimenticato quell’esperienza sui banchi di scuola: «La formazione professionale prepara le persone al contatto col mondo e a lavorare in gruppo».
Dal suo stesso istituto sono usciti altri sacerdoti, come don Angelo Grillo, parroco del Sacro Cuore di Pordenone. Due gli episodi che hanno spinto Luca Basaldella a riflettere sul suo futuro: «La morte di Giovanni Paolo II venne ampiamente trattata dai media: ricordo dirette di cronaca, film, ricordi. Mostravano un volto diverso rispetto a quello di un papa che si affacciava a San Pietro: il volto di un uomo creativo, poeta, che aveva compiuto sacrifici per raggiungere i suoi obiettivi, che aveva una grande forza d’animo e aveva “sfidato” le ideologie e i pericoli per testimoniare Cristo».
Il secondo episodio richiama un incidente stradale, al ritorno da un funerale. Con la premessa che, allora, Luca Basaldella era animatore del Progetto giovani di Fontanafredda, suonava (e suona) la fisarmonica, canta Jovanotti e Baglioni, amava e ama la musica («dal 1600 ad oggi, come repertorio, tanto rock, quante volte abbiamo fatto arrabbiare i vicini, ma niente metal o rap»).
«Don Giacomo Santarossa, il parroco, mi chiese di suonare al funerale di un uomo che, in motorino, era stato travolto da un camion. Tornando dal cimitero rimasi intrappolato, in sella alla bicicletta, tra un camion e il muro di una casa. Dissi: “Signore, adesso la mia vita è nelle tue mani”».
È il momento della “crisi”: si confronta con don Felice Bozzet e col parroco (che aveva assistito all’incidente). Frequenta Casa San Martino, con don Giuseppe Grillo, mentre continua a suonare l’organo a Nave, con don Walter Costantin. Se non ci fosse stata la chiamata si sarebbe visto diplomato all’accademia delle belle arti.
Jonathan Marcuzzo ha 26 anni ed è originario di Loncon di Annove Veneto, località di 700 anime dove è sempre stato inserito nella vita parrocchiale come chierichetto, animatore, catechista. Appassionato di matematica e fisica, si diploma con 100 centesimi al liceo scientifico XXV aprile, a Portogruaro.
«Pensavo di iscrivermi all’Università, fisica. Partecipai a un pellegrinaggio a Lourdes, guidato dal vescovo Ovidio Poletto. E mi chiesi: e se fosse questa la mia strada? Al ritorno ne parlai con i miei genitori e con i sacerdoti». Le sue figure importanti sono state don Arturo Antoniutti, don Paolo Zovatto e padre Steven Bral; «mi sono confrontato con don Federico Zanetti e don Giuseppe Grillo ed entro nella comunità di San Martino, assistendo ai corsi di biennio filosofico, una passione tardiva».
Frequentare una scuola “laica” gli permette di riflettere sulla sua strada: «Entro in seminario nel 2008 e tra il quinto e il sesto anno, prima del baccalaureato, mi prendo una pausa di “servizio” alla coop Gabbiano Jonathan».
Jonathan Marcuzzo è affascinato dalle figure di san Francesco, «per il suo radicalismo e per il cuore che ha messo nei suoi scritti», e di Edith Stein, Santa Teresa Benedetta della Croce, «per il suo spirito di ricerca di verità». E se non fosse andata così, la vita? «Mi sarei immaginato insegnante di fisica. O coltivatore della terra, tradizione e passione di famiglia».
Ha la stessa età Luca Crema, di Casarsa. Determinanti, per la sua vocazione, sono state le figure del nonno Silvio, dei genitori Lucia e Ferdinando, del maestro Cesare Pradal e... la musica sacra (il padre ha composto “Tu es sacerdos” che verrà suonato il giorno dell’ordinazione).
«Ho ricevuto un’educazione cristiana, anche se non rigida. Quando ero piccolo, alle 21.30 mio padre spegneva la tv e, in camera, si recitavano le preghiere. Irrinunciabile la messa domenicale, anche quando non volevo andarci.
Ma è stato un “coltivare” pazientemente un terreno che ha dato i suoi frutti». In questo contesto, Luca Crema ha frequentato lo scientifico a Pordenone («non fu una bellissima esperienza, aveva una impronta molto laicista e mi sentivo messo un po’ da parte per le mie scelte religiose, ma all’ordinazione alcuni miei insegnanti ci saranno e questo mi fa piacere»), ha studiato musica, ha praticato nuoto agonistico a San Vito al Tagliamento.
L’ingresso in seminario? «L’11 settembre 2007 alle 18.30. Poco prima, mio padre – che aveva studiato cinque anni in seminario – mi aveva chiesto: che ne pensi del prete? Ti piacerebbe?». Insomma, «devo dire che il Signore ci ha provato diverse volte, sino a quando ho acconsentito. Ci pensavo dalle medie, poi la morte di Giovanni Paolo II, Bruno Vespa che propose le fasi salienti del suo pontificato dal “Non abbiate paura”. L’ho sentita come una forte esortazione. Mai più ho provato una gioia così grande come nel momento della chiamata e del sì».
La prima a saperlo è la sorella Elena. Poi si consulta con il parroco don Roberto Laurita. «Glielo dissi in confessionale, dopo trenta secondi di silenzio, tanto che mi disse che se non me la sentivo di confessarmi, potevo tornare al mio posto... Poi fu lui a stare in silenzio, prima di indirizzarmi alla comunità vocazionale». Una figura di riferimento di Luca Crema, organista con la passione dell’economia, è Benedetto XVI; come diacono ha “servito” due messe, celebrate in San Pietro da papa Francesco.
Che cosa faranno i neo-sacerdoti? «C’è tanto bisogno di ascoltare, con tanta semplicità», rispondono all’unisono. «Vorrei coltivare la relazione tra sacerdoti: le Unità pastorali potrebbero essere una buona opportunità, visto che il seminario ci ha “abituati” alla vita di comunità», dice Luca Crema.
«Voglio difendere e amare questa Chiesa che è madre, mi ha generato e battezzato e non solo perché sarò prete. Saremo, forse, minoranza che dovrà testimoniare la verità, con tante difficoltà», aggiunge Jonathan Marcuzzo. «Cammineremo ed aiuteremo a cambiare, se ce ne sarà bisogno. Io, ad ogni modo, credo che il sacerdote non debba occuparsi eccessivamente di organizzazione: per quella conterei sui laici».
All’unisono concludono: «Al di là di tutto, credo che la gente pretenda una buona condotta di vita, testimonianza coerente di ciò in cui diciamo di credere».
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