Electrolux, appello Cisl: «L’esodo a Est va fermato»

Il segretario regionale Fim interviene nel dibattito sulle delocalizzazioni. «C’è il rischio che altri stabilimenti chiudano, servono interventi straordinari»

PORDENONE. «Fermare la delocalizzazione di Electrolux». E’ l’imperativo del sindacato che richiama il Governo a dispiegare azioni concrete a sostegno del settore dell’elettrodomestico italiano.

Dal reportage del vicedirettore del Messaggero Veneto, Giuseppe Ragogna, sulla Polonia, la nuova “capitale” europea del settore, sino alle analisi sulle strategie della multinazionale svedese e le loro conseguenze, emerge in modo molto forte quanto l’Italia abbia perduto, in termini di capacità industriale e occupazionale, nell’ultimo decennio.

E limitando l’analisi alla sola Electrolux, non dimenticando che altri produttori italiani hanno adottato scelte simili in passato, ed altre sono annunciate per il futuro prossimo.

Ora «la preoccupazione che Electrolux possa continuare la delocalizzazione delle attività e degli stabilimenti mettendo mani a quelli italiani, l’abbiamo ben presente e non da oggi - dichiara Cristiano Pizzo, già segretario provinciale e regionale della Fim e ora componente della segreteria provinciale della Cisl -. Il timore più grande che ci troviamo di fronte riguarda il fatto che quel che i lavoratori e i sindacati potevano mettere in campo rispetto a recuperi di efficienza e di produttività, lo hanno fatto e ulteriori margini, su questi fronti, non credo sarebbero determinanti. Qui serve uno sforzo straordinario di quello che noi chiamiamo sistema-Paese per aggredire una quota del costo del lavoro che di sua competenza. Mi riferisco - elenca Pizzo - ai costi dell’energia, alla dotazione di infrastrutture, e non solo viarie, alla logistica. Tutte questioni su cui il nostro territorio, e l’Italia in generale, rimane carente. Ci attendiamo che la giunta regionale, con la presidente Serracchiani e l’assessore Bolzonello, diano velocità e direzione diversa da quelle degli ultimi anni».

Anche perché se, nello specifico, è di Electrolux che si sta parlando, le stesse questioni limitano altre grandi aziende, gruppi, multinazionali, ed anche piccole e medie imprese, di tutti i settori. «E’ l’intero sistema industriale della provincia di Pordenone e del Friuli Venezia Giulia che deve essere difeso - chiarisce il sindacalista -. I lavoratori da anni fanno il loro dovere; i margini di miglioramento che sono nelle loro mani, sono ora ridotti al minimo. I sostanza, gli operai hanno già dato. Ora i recuperi di competitività delle imprese devono essere accompagnati da politiche mirate a far sì che le aziende rimangano sul territorio. In caso contrario, le aziende se ne andranno».

La “mappa” della consistenza attuale di Electrolux rapportata al 2004, oltre a dimostrare com’è cambiata la geografia produttiva, dice anche altro. Ad esempio conferma che l’Italia è, oggi, il Paese in cui il Gruppo mantiene la maggiore capacità produttiva, e occupazionale, europea. Anche rispetto all’Est (qui circa 5.300 addetti contro i 3.400 della Polonia o i 3.600 dell’Ungheria).

La sfida è far sì che ciò non cambi. Nel settore dell’elettrodomestico (tralasciando dunque il Professional), siamo quasi pari rispetto alla Polonia, con 4 fabbriche a testa. Con una differenza: qui ci sono 4 fabbriche ma più qualificate; qui ci sono i centri di competenza (ricerca, innovazione, design), là il centro amministrativo.

La sfida competitiva dev’essere giocata, ma in campo devono scendere politica e governo con la determinazione di voler vincere.

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