Electrolux, in 9 anni la “grande fuga” verso l’Est Europa LE CIFRE
PORDENONE. Era il 2004, ovvero nove anni fa, alla vigilia di quella operazione che Hans Stråberg, all’epoca ceo di Electrolux, annunciò come un riposizionamento della capacità produttiva del gruppo tra aree ad alto e basso costo. In quell’anno - lo dicono i numeri - era l’Italia il “cuore” produttivo di Electrolux con 11 stabilimenti (compresi quelli del Professional) e poco meno di 11.500 dipendenti. Al secondo posto per consistenza c’era la Svezia, dove Electrolux è nata, con 10 siti e più di 6.500 dipendenti.
Nove anni più tardi la geografia di Electrolux risulta profondamente modificata, solo in Italia gli stabilimenti sono solo 5 (sempre compreso il Professional) e i dipendenti sono più che dimezzati. E a fronte di un’Europa occidentale che dimagrisce sensibilmente, dove cresce Electrolux?
A Est, ovviamente, sia pure a ritmi diversi e più contenuti di quel che si potrebbe supporre, merito evidentemente di piattaforme tecnologiche più efficienti che richiedono organici più contenuti rispetto al passato. Una nota: manca in questa mappa, il “passaggio” di Electrolux in Russia dove aveva avviato, salvo poi chiudere, uno stabilimento per la produzione di lavatrici, inaugurato dopo il 2004 e chiuso prima del 2013.
E’ intuibile che tutta l’Europa dell’ovest ha “pagato”, in termini industriali e occupazionali, le scelte strategiche della multinazionale, ma di più ha pagato l’Italia che, grazie all’acquisizione della Zanussi, ha dato ad Electrolux competenze e dimensioni globali nel settore dell’elettrodomestico, ma anche grandi manager.
In dettaglio, in Austria nel 2004 Electrolux aveva uno stabilimento e oltre 800 occupati, nel 2013 la sua presenza è pari a zero. In Belgio due fabbriche, 700 addetti; nove anni dopo il saldo è zero. In Danimarca due stabilimenti nel 2004, zero nel 2013.
In Francia di sei siti produttivi ne rimane operativo uno - ma a rischio chiusura già annunciata - con 400 addetti. In Germania dell’Aeg di Norimberga (lavatrici e lavastoviglie) oggi rimane solo il marchio; resiste Rothenburg, piani cottura, con 850 addetti (erano circa 6 mila nel 2004).
In Inghilterra, 2 fabbriche e oltre 2.200 dipendenti nel 2004, Electrolux non ha più stabilimenti, così come in Olanda (da 1 con 450 addetti a nessuno). Azzerata anche la Spagna, tre siti per 3 mila addetti nel 2004, mentre in Svizzera resiste un sito con 250 dipendenti.
Ed ora guardiamo a Est. Nel 2004 in Polonia aveva insediato una piccola produzione di asciugabiancheria (la famosa fabbrica sulle ruote migrata da Porcia) a Sievierz, all’epoca meno di 400 dipendenti. Oggi sono 4 le fabbriche polacche, peraltro “gemelle” di quelle italiane.
A Olawa si fabbricano lavatrici (un migliaio di addetti), a Siewierz si continuano a produrre dryers, 750 addetti; a Zarow le lavastoviglie (750 addetti), e a Swidnica, 900 addetti, i piani cottura e i forni. Quindi la Romania, dove la presenza di Electrolux è stabile a Satu Mare con i piani cottura - 900 addetti -.
Arricchisce la mappa l’Ucraina, con uno stabilimento di lavatrici (basso di gamma) per 300 addetti. Quindi l’Ungheria, prima “minaccia” per gli stabilimenti italiani con un primo stabilimento per la produzione di frigoriferi di bassa gamma, a cui si è affiancato quello dei frigoriferi di libera installazione, e quello per gli aspirapolveri. Ma le due fabbriche del “freddo” fanno, da sole, 3.300 addetti: 4 volte Susegana.
La mappa dice “dove” continua ad andare Electrolux, non dice “quando”. E questa è una domanda alla quale la politica dovrebbe rispondere cercando di determinare le condizioni affinchè questo progressivo spostamento rallenti i ritmi, e le conseguenze.
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