Elezioni Fvg, Allegranti: “La crisi del Pd frutto di mancate scelte”

Il giornalista commenta l’esito della consultazione: «Il voto in Friuli Venezia Giulia conferma che è il momento del centrodestra. Ribadite tutte le difficoltà dei dem e della classe dirigente»

UDINE. Il voto in Friuli Venezia Giulia dopo quello in Molise conferma che è il momento del centrodestra, con tutte le sfumature del caso: Matteo Salvini è il socio di maggioranza, si sta prendendo il Nord, si candida a egemonizzare Forza Italia (dove si discute per le non brillanti prestazioni delle ultime settimane, compresa quella del 4 marzo), nello schieramento si guarda alle prossime Comunali e si cerca, ancora, di dare un governo al Paese che parta dal trio Forza Italia-Lega-Fratelli d’Italia.

Ma le Regionali (e, forse, pure le amministrative in arrivo) restituiscono anche tutte le difficoltà del Pd e della sua classe dirigente. A partire da Debora Serracchiani, la governatrice uscente.

C’è stato un periodo in cui sembrava che il centrosinistra italiano, alla ricerca di leadership giovani, non avesse più bisogno di trovare il suo nuovo capo.

Molti cominciarono a crederci e cominciò a crederci persino lei dopo l’elezione all’Europarlamento, con quelle 144 mila preferenze - meglio di Berlusconi, si vantò - nel 2009.

Merito di una telecamera che pochi mesi prima l’aveva ripresa mentre gliele cantava a Dario Franceschini, appena diventato segretario, sul palco dell’assemblea nazionale dei circoli del Pd.

“Siamo apparsi - diceva l’allora segretaria del Pd di Udine - come un partito lontano dalla realtà, dalle cose reali. Non siamo stati capaci ciascuno di parlare oltre il proprio elettorato.

La primavera autonomista dell’ultimo dei benandanti
Patto per l'Autonomia candidate Sergio Cecotti during the voting operations for the regional elections of Friuli-Venezia Giulia at a polling station in Trieste, Italy, 29 April 2018. Voters in the Friuli-Venezia region are called to elect a regional government. ANSA/Patto per l'Autonomia +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++

Mai una parola chiara, mai una linea netta, ma soprattutto mai una linea unica”.

Accusava i vertici, la Serracchiani, di non essersi espressi sul testamento biologico e sul caso Englaro, per timore forse di non spaccare il partito in mille posizioni.

Vagonate di applausi, anche da Franceschini, che non poteva, no?, lasciarsi scappare l’occasione di battere le mani al futuro Obama italiano, e un video su YouTube con tante di quelle visualizzazioni che oggi la farebbero, come minimo, competere con un Di Battista qualunque quando posta i suoi pensierini gridati su Facebook.

Dopo quell’exploit però anche Serracchiani, emblema del rinnovamento, picconatrice del Pd guidato da una banda di traccheggiatori, scelse di entrare nella corrente dell’ex segretario Walter Veltroni per appoggiare al congresso proprio Franceschini.

La motivazione? “Perché Franceschini è il più simpatico”, spiegò. “L’ho conosciuto in campagna elettorale. E come segretario è stato bravo, innovativo e coraggioso”.

Definitivo fu il commento di Stefano Cappellini sul Riformista: “Questi sono i giovani del Pd: gli dai un braccio, si riprendono il dito”. Il Pd a guida Renzi non ha mai risolto questi problemi.

L’ex segretario ed ex sindaco di Firenze pareva più interessato a raggiungere Palazzo Chigi che non a ricostruire il partito in mano a capibastone e aspiranti Obama senza adeguate qualità. Il prezzo di quelle (non) scelte si paga adesso.

 

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