Elezioni regionali, addio al renzismo e alle ambizioni del M5S: il Friuli è leghista
Massimiliano Fedriga ha vinto largamente la sfida del Friuli Venezia Giulia. Il 57 per cento è tanta roba. Ha portato acqua in abbondanza al mulino di Matteo Salvini, proprio nel momento chiave della macina nazionale.
Il centrodestra conferma così la forte trazione leghista: è una coalizione più di destra-destra che di centro. Forza Italia non è andata oltre il 12 per cento, nonostante la canea scatenata negli ultimi giorni.
Silvio Berlusconi, con un codazzo di parlamentari al seguito, ha costituito in Friuli Venezia Giulia il suo quartiere generale per l’offensiva sorpasso sulla Lega: «È importante avere anche un solo voto in più». Invece, è riuscito a raggranellare solo un terzo dei voti del Carroccio.
Sergio Bolzonello ha completato la disfatta del renzismo friulano. Per la verità, lui è soltanto il capro espiatorio di una sconfitta annunciata. Paga il conto salato della fine di un ciclo.
Ha però mantenuto il centrosinistra poco sopra la soglia psicologica del 26 per cento, che almeno è vita. Dentro alla coalizione, il Pd non si è schiodato dal 18 per cento.
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Ecco la grande sorpresa del voto: il M5S è crollato. In soli due mesi ha perso una quindicina di punti percentuali. Il candidato Alessandro Fraleoni Margera si è difeso mettendo insieme l’11,6 per cento, ma la sua lista non è andata oltre 7 per cento.
Da noi il Movimento conta meno di un quarto rispetto al peso che ha su scala nazionale. La Lega ha svuotato di brutto i Cinquestelle, intercettando meglio la protesta.
D’altra parte, populismo per populismo quello del Carroccio è più accattivante. Almeno al Nord. Il tracollo creerà più di qualche grattacapo a Luigi Di Maio, indebolendo le sue velleità da premier. Per effetto delle regole elettorali, Fraleoni Morgera non entrerà neanche in consiglio; come terzo infatti resta a casa.
L’autonomista Sergio Cecotti ha raccolto qualcosa in più del 4 per cento necessario per avere la rappresentanza in Regione.
L’astensionismo è stato alto: ha votato meno della metà degli aventi diritto. Si tratta di un fenomeno che conferma il disinteresse nei confronti di “questa politica”. Ecco, quindi, il nocciolo duro dell’esito elettorale. Le indicazioni serviranno ai Palazzi Romani per cercare di dipanare l’ingarbugliata matassa della governabilità.
Intanto, la legge regionale garantisce, almeno qui, le condizioni per un’Amministrazione solida. Un simile meccanismo potrebbe costituire un buon motivo per toglierci dalle scatole il Rosatellum. Basterebbe volerlo.
Vittoria annunciata
Fedriga punta al cielo le braccia in un gesto di vittoria. Sorride, scrollandosi di dosso le ultime tensioni. È cresciuto leghista fin da studente e ora è il nuovo governatore del Friuli Venezia Giulia.
Ha scalato in fretta molte posizioni nel partito sino a diventare uno dei collaboratori più stretti di Salvini, tanto apprezzato da essere scelto come inviato di punta della Lega nei salotti televisivi nazionali. Proprio nei talk show ha imparato a masticare politica.
Ieri parlamentare, oggi presidente della Regione. Un passaggio controvoglia, perché avrebbe preferito starsene a Roma. Ha invece obbedito agli ordini di partito per coprire un vuoto di una classe politica non all’altezza. La sua candidatura è spuntata per acclamazione, dopo giorni persi a seguito di insopportabili manfrine. Roba da circo.
Così, in occasione della presenza di Salvini a Udine, sono arrivati i trattori con le scritte pro-Fedriga: «Vonde monadis». Da quel momento è stata costruita la vittoria.
Il centrodestra ha fatto ancora meglio di due mesi fa. La resa dei conti all’interno della coalizione è così giunta all’epilogo con la conferma dello strapotere del Carroccio, il quale ha schiacciato le velleità di rimonta di Berlusconi.
Forza Italia ha ottenuto meno di un terzo dei voti leghisti: il 12 contro il 35 per cento. Un abisso. La sua lunga storia è arrivata al bivio: o si adegua alle condizioni dei vincitori, oppure strappa definitivamente scegliendo l’avventura di altri lidi ancora da costruire.
In entrambi i casi dovrà subire ulteriori operazioni di dimagrimento per effetto delle umane convenienze. Non è detto che, alla fine del periodo di tatticismo, sia lo stesso Salvini a scaricare lo scomodo alleato per giocarsi liberamente le carte in un rapporto stretto con il M5S.
Farebbe quello che una larga fetta del suo elettorato invoca da tempo. Lo frenano soltanto i numeri: le quote di Forza Italia nella coalizione sono ancora strategiche.
Completa il quadro del voto il buon risultato di Progetto Fvg (poco più del 6 per cento) messo in campo all’ultimo momento dall’imprenditore friulano Sergio Bini. Ha fatto meglio di Fratelli d’Italia.
Sotto le attese la lista di Renzo Tondo, il quale era già stato indicato ufficialmente candidato, prima del defenestramento a furor di popolo. Quest’ultimo dato fa capire il rischio che avrebbe corso il centrodestra con la candidatura di un politico non targato Lega.
È finita l’agonia del centrosinistra guidato da Debora Serracchiani. Ora la disfatta del Pd è completa. Da un triennio prende sonore sberle, senza mai cercare di capire le ragioni del malessere.
Il verbo “ascoltare” non è mai stato declinato nel modo giusto. Soltanto misere giustificazioni, del tipo: «Non siamo riusciti a far comprendere le nostre importanti riforme».
E più insistevano a spiegarle, più perdevano. In realtà, il partito regionale è stato colpevolmente lasciato a “una donna sola al comando”, i cui metodi incarnavano quelli romani al pari di un semplice copia incolla. Per lungo tempo Serracchiani è stata la vice di Matteo Renzi, condividendone tutta la linea. Un tutt’uno politico.
La Regione si è via via trasformata in un laboratorio di progetti ideati con buone intenzioni, ma gestiti frettolosamente con l’obiettivo di arrivare “primi”. In realtà, le riforme non dovrebbero mai rappresentare gare di velocità.
Anzi, più profonde sono e più hanno bisogno di confronti e condivisioni. Gli avversari si sono limitati a demolire le scelte amministrative con grossolani ma efficaci slogan, dalle Uti alla riforma sanitaria: «Un disastro – hanno gridato – ma risorgeremo dalle macerie».
Hanno detto tutto il male possibile degli avversari, senza risparmiare una buona dose di veleni, anche esagerando perché in Friuli Venezia Giulia non tutto va male. È stato sconfitto il renzismo come sistema di gestione in proprio del partito e del potere.
Al pari di Renzi, anche Debora Serracchiani ha eccessivamente personalizzato sia la politica sia l’amministrazione. I due, insieme, hanno rottamato coloro che davano fastidio, tanto da sprecare energie, buttare via esperienze, disattivare le contrapposizioni interne che sono indispensabili alla democrazia.
La cultura politica è fatta di confronto, dialogo e mediazione. Anche di molta critica. Il centrosinistra non è stato azzerato, perché ha ancora una sufficiente base elettorale: il 26 per cento non è poca roba. Ha però bisogno di una profonda rigenerazione di idee e di classe dirigente. È tempo che i politici frequentino i luoghi della vita quotidiana.
Il risultato del Movimento è veramente scarso. Luigi Di Maio evidentemente aveva annusato le difficoltà, tanto da mettere le mani avanti per non compromettere le trattative romane: «Questo voto non ha nulla a che vedere con quello politico nazionale».
Lo ha detto a Udine nel mezzo della campagna elettorale, poi non si è più fatto vedere per non perdere la faccia. Il crollo non può essere però attribuito solo alle difficoltà che i Pentastellati incontrano nella gestione di elezioni a carattere amministrativo.
Ormai si sa che sono colpiti dall’orticaria quando devono avere a che fare con voti in carne e ossa. Per esempio, nel collegio udinese non sono riusciti neppure a completare la lista. Un brutto segno. Cinque anni fa, a parità di competizione, il risultato è stato nettamente migliore, sfiorando il 20 per cento alla prima uscita sul territorio.
In realtà, sugli ultimi dati influisce anche il caos romano. In fin dei conti, le trattative per il governo danno l’idea agli elettori di essere incomprensibili e inconcludenti. Il leader pentastellato si è prodigato ad aprire e a chiudere forni, ma non è riuscito ancora a cuocere un po’ di pane.
La spregiudicatezza ondulatoria (ora con la Lega ora con il Pd, quasi che fossero la stessa cosa) non potrà continuare a lungo. E il momento delle decisioni provocherà dei contraccolpi in un Movimento che alle origini si è presentato “duro e puro”.
Ma da solo non può andare da nessuna parte. Allora, per la costruzione di un progetto alternativo è indispensabile rispondere a una domanda fondamentale: con chi? La scelta delle alleanze prevede compromessi, perché per governare ci si deve “sporcare le mani”.
In pratica, il Friuli Venezia Giulia è diventato una realtà monocromatica. È una distesa di verde. Mai la regione è stata così omogenea, neanche ai tempi della Prima Repubblica. Ci sono pennellate più o meno dense che rafforzano o rendono più tenui le sfumature, ma il verde è verde.
Il centrodestra a guida leghista ha il dominio assoluto del voto regionale. Qualcosa cambia (ma veramente poco) nelle narrazioni delle specifiche amministrazioni comunali andate al voto.
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Il Pd affida la sua resistenza all’ultima frontiera rappresentata da Udine, dove Vincenzo Martines ha conquistato il ballottaggio per la carica di sindaco. Il suo avversario è il leghista Piero Fontanini, un politico di lungo corso che spesso si lascia andare a provocazioni di retroguardia. Il centrosinistra è sotto di poco (35,8 contro 41,4 per cento), ma la partita resta aperta.
In altri Comuni le divisioni del centrodestra lasciano invece strascichi polemici solo all’interno. A Sacile, dove il ballottaggio è fratricida: lo schieramento guidato da Forza Italia, in prima posizione con un margine di sette punti percentuali di vantaggio, dovrà vedersela contro quello di Lega e Fratelli d’Italia.
Il Pd? Non pervenuto. A Spilimbergo, il candidato sindaco di Forza Italia si è preso la rivincita sulla Lega, che così va all’opposizione. A Fiume Veneto, a prendere la bastonata sono stati Fratelli d’Italia surclassati dalla Lega che si è presentata insieme a Forza Italia.
Storia a parte per Zoppola, dove la frammentazione del centrodestra ha ancora una volta favorito l’elezione di Francesca Papais, con tanto di tessera del Pd in tasca (ma senza simbolo nella lista). È proprio lei la mosca bianca di questa tornata elettorale.
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